«Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita». Gv 8,12

«Yo soy la luz del mundo. El que me sigue no andará en tinieblas, sino que tendrá la luz de la Vida». Jn 8,12

L'inferno esiste- El infierno existe y es eterno

L'inferno esiste- El infierno existe y es eterno
clic sull'immagine- clic sobre la imagen

giovedì 30 agosto 2018

La sacra Famiglia in Egitto. Una lezione per le famiglie - La Sagrada Familia en Egipto. Una lección para las familias.







Cari amici,

Oggi sto meditando sulle nostre famiglie, così ho trovato questo bellissimo testo del Libro "L'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta, che trascrivo a continuazione affinché possiamo riflettere insieme.



Queridos amigos:

Hoy estoy meditando sobre nuestras familias, he encontrado este hermoso texto del Libro "El Evangelio como me ha sido revelado" de Maria Valtorta. Lo trascribo a continuación para que podamos reflexionar juntos.

El texto en español está abajo.



XXXVI. La sacra Famiglia in Egitto. Una lezione per le famiglie. 

   5 gennaio 1944 (ore 24)

  1La soave visione della S. Famiglia. Il luogo è in Egitto. Non ho dubbi, perché vedo il deserto e una piramide.
  Vedo una casuccia a un sol piano, il terreno, tutta bianca. Una povera casa di molto povera gente. I muri sono appena intonacati e coperti di una mano di calcina. La casetta ha due porte, l’una vicina all’altra, che mettono nei due unici ambienti della casa, nei quali, per ora, non entro. La casetta è nel mezzo di un poco di terreno sabbioso, recinto da un riparo di canne confitte nel suolo, un molto debole riparo contro i ladri; può servire unicamente di difesa contro qualche cane o gatto randagio. Ma già, chi deve aver voglia di rubare dove è visibile che non c’è ombra di ricchezza?
  Questo poco terreno che la siepe di canne recinge, siepe sulla quale, a farla più fitta e meno misera, sono stati condotti degli arrampicanti che mi paiono modesti convolvoli — solo su un lato vi è un arbusto di gelsomino in fiore e un cespuglio di rose delle più comuni — è stato coltivato pazientemente, nonostante il terreno sia arido e magro, a orticello. Vi noto delle modestissime verdure nelle poche aiuole del centro, sotto ad una pianta d’alto fusto che non so capire che sia, la quale dà un poco d’ombra sul terreno assolato e sulla casetta. A questa pianta è legata una capretta bianca e nera, che bruca e rumina le foglie di alcuni rami gettati al suolo.
 

  2E lì vicino, su una stuoia stesa a terra, vi è Gesù bambino. Mi pare abbia un due anni, o due e mezzo al massimo. Giuoca con alcuni pezzetti di legno intagliati, che sembrano pecorine o cavallini, e con alcuni trucioli di legno chiaro, meno arricciolati dei suoi riccioli d’oro. Con le manine paffutelle cerca mettere queste collane di legno al collo delle sue bestioline.
  È buono e sorridente. Molto bello. Una testolina che è tutta a ricciolini d’oro fitti fitti, pelle chiara e delicatamente rosata, occhietti vivi, splendenti, di un azzurro carico. L’espressione è naturalmente diversa, ma riconosco il colore degli occhi del mio Gesù: due zaffiri scuri e bellissimi.
  Veste una specie di lunga camicina bianca, che sarà certo la sua tunica. Ha le maniche sino al gomito. Ai piedi, per ora, nulla. I minuscoli sandali sono sulla stuoia e servono anch’essi di giocattolo al Bambino, che mette sulla suola le sue bestioline e tira il sandalo per la cinghia come fosse un carrettino. Sono sandali molto semplici: una suola e due cinghie, che partono una dalla punta e una dal calcagno. Quella della punta, poi, si biforca a un certo punto, e un pezzo passa entro l’occhiello della cinghia del calcagno per venire poi ad allacciarsi con l’altro pezzo, formando anello al collo del piede.

  3Un poco più in là, anche Ella all’ombra della pianta, è la Madonna. Tesse ad un rustico telaio e sorveglia il Bambino. Vedo le mani sottili e bianche andare e venire gettando la spola sulla trama, e il piede, calzato da sandali, muovere il pedale. È vestita di una tunica color fiore di malva, un viola rosato come certe ametiste. È a testa nuda, e così posso vedere che ha i capelli biondi bipartiti sul capo e pettinati semplicemente in due trecce, che le fanno un bel ciuffo sulla nuca. Ella ha le maniche lunghe e piuttosto strette. Nessun ornamento fuorché la sua bellezza e la sua espressione dolcissima. Colore del volto, dei capelli e degli occhi, forma del viso, sempre come quando la vedo. Qui sembra giovanissima. Sì e no le si danno venti anni.
  Ad un certo punto si alza e si curva sul Bambino, al quale rimette i sandaletti e glieli allaccia con cura. Poi lo carezza e lo bacia sulla testolina e sugli occhietti. Il Bambino cinguetta e Lei risponde, ma non comprendo le parole. Poi torna al suo telaio, stende sulla tela e sulla trama un panno, prende lo sgabello su cui era seduta e lo porta in casa. Il Bambino la segue con lo sguardo senza importunarla quando Ella lo lascia solo.
  Si vede che il lavoro è finito e viene la sera. Infatti il sole cala verso le sabbie nude, e un vero incendio invade tutto il cielo dietro la piramide lontana.
  Maria torna. Prende per mano Gesù e lo fa alzare dalla sua stuoia. Il Bambino ubbidisce senza resistenza. Mentre la Mamma raccoglie i giocattoli e la stuoia e li porta in casa, Egli corre trotterellando sulle sue gambette tornite verso la caprettina e le butta le braccine al collo. La capretta bela e strofina il musino sulle spalle di Gesù.
  Maria torna. Ora ha un lungo velo sul capo e un’anfora in mano. Prende Gesù per la manina e si avviano tutti e due, girando intorno alla casetta verso l’altra facciata.
  Io li seguo ammirando la grazia del quadro. La Madonna che regola il suo passo su quello del Bambino, e il Bambino che trotterella e sgambetta al suo fianco. Vedo i calcagni rosei alzarsi e posarsi, con la grazia propria dei passi dei bambini, nella sabbia del sentieruolo. Noto che la sua tunichetta non è lunga sino ai piedi, ma giunge soltanto sino a metà del polpaccio. È molto linda, semplicissima, trattenuta alla vita da un cordoncino pure bianco.
  Vedo che sul davanti della casa la siepe è interrotta da un rustico cancello, che Maria apre per uscire sulla via. Una povera via all’estremo di una città o paese che sia, là dove questo finisce nella campagna, che qui è costituita di sabbia e di qualche altra casetta, povera come questa, con qualche gramo orticello.
  Non vedo nessuno. Maria guarda verso il centro, non verso la campagna, come attenda qualcuno, poi si avvia verso una vasca o pozzo che sia, che è qualche decina di metri più in su e sul quale delle piante di palma fanno un cerchio d’ombra. Vedo che anche il terreno, là, ha delle erbe verdi.


 4 Qui vedo venire avanti per la via un uomo non troppo alto ma robusto. Riconosco Giuseppe, che sorride. È più giovane di come lo vidi nella visione del Paradiso. (del 10 gennaio 44 ne “I quaderni del 1944) Sembra avere al massimo quaranta anni. Ha i capelli e la barba folti e neri, la pelle piuttosto abbronzata, occhi scuri. Un viso onesto e piacente, un viso che ispira fiducia.
    Vedendo Gesù e Maria, affretta il passo. Ha sulla spalla sinistra una specie di sega e una specie di pialla, e con la mano tiene altri arnesi del mestiere, non come quelli di ora ma quasi uguali. Sembra che torni dall'aver fatto qualche lavoro in casa di qualcuno. Ha una veste fra il color nocciuola e il marrone, non molto lunga - arriva un bel po' più su della caviglia - ed ha le maniche corte sino al gomito. Alla vita una cinghia di cuoio, mi sembra. Una vera veste da lavoro. Ai piedi sandali intrecciati alla caviglia.
    Maria sorride e il Bambino manda dei gridetti di gioia e tende il braccino libero. Quando i tre si incontrano, Giuseppe si curva offrendo al Bambino un frutto che mi pare una mela, dal colore e dalla forma. Poi gli tende le braccia, e il Bambino lascia la Mamma e si rannicchia fra le braccia di Giuseppe, curvando il capino nell'incavo del collo di Giuseppe, che lo bacia e ne è baciato. Una mossa piena di affettuosa grazia.
Dimenticavo di dire che Maria era stata sollecita a prendere gli arnesi di lavoro di Giuseppe, per lasciarlo libero di abbracciare il Bambino.
   Poi Giuseppe, che si era accoccolato al suolo per mettersi all'altezza di Gesù, si rialza, riprende con la mano sinistra i suoi arnesi e tiene stretto sul petto robusto, con il braccio destro, il piccolo Gesù. E si avvia verso casa, mentre Maria va alla fonte ad empire la sua anfora.
   Entrato nel recinto della casa, Giuseppe depone il Bambino, prende il telaio di Maria e lo porta in casa, poi munge la capretta. E Gesù osserva attentamente queste operazioni e quella della chiusura della capretta in un piccolo sgabuzzino posto su un lato della casa.
    La sera cala. Vedo il rosso del tramonto farsi violaceo sulle sabbie, che per il calore sembrano tremolare. La piramide sembra più scura.
    Giuseppe entra in casa, in una stanza della casa che deve essere officina, cucina, stanza da pranzo insieme. Si vede che l'altro ambiente è quello destinato al riposo. Ma in quello io non entro. Vi è un basso focolare acceso. Vi è un banco da falegname, una piccola tavola, degli sgabelli, delle mensole con su le poche stoviglie e due lumi ad olio. In un angolo, il telaio di Maria. E molto, molto ordine e nitore. Dimora poverissima ma pulitissima.
    È questa un'osservazione che faccio: in tutte le visioni riguardanti la vita umana di Gesù, ho notato che tanto Lui come Maria, come Giuseppe, come Giovanni, sono sempre ordinati e puliti nella veste e nel capo. Abiti modesti e semplici acconciature, ma di una nitezza che li fa apparire signorili.

  5Qui vedo venire avanti per la via un uomo non troppo alto ma robusto. Riconosco Giuseppe, che sorride. È più giovane di come lo vidi nella visione del Paradiso. Sembra avere al massimo quaranta anni. Ha i capelli e la barba folti e neri, la pelle piuttosto abbronzata, occhi scuri. Un viso onesto e piacente, un viso che ispira fiducia.
  Vedendo Gesù e Maria, affretta il passo. Ha sulla spalla sinistra una specie di sega e una specie di pialla, e con la mano tiene altri arnesi del mestiere, non come quelli di ora ma quasi uguali. Sembra che torni dall’aver fatto qualche lavoro in casa di qualcuno. Ha una veste fra il color nocciuola e il marrone, non molto lunga — arriva un bel po’ più su della caviglia — ed ha le maniche corte sino al gomito. Alla vita una cinghia di cuoio, mi sembra. Una vera veste da lavoro. Ai piedi sandali intrecciati alla caviglia.
   Maria sorride e il Bambino manda dei gridetti di gioia e tende il braccino libero. Quando i tre si incontrano, Giuseppe si curva offrendo al Bambino un frutto che mi pare una mela, dal colore e dalla forma. Poi gli tende le braccia, e il Bambino lascia la Mamma e si rannicchia fra le braccia di Giuseppe, curvando il capino nell’incavo del collo di Giuseppe, che lo bacia e ne è baciato. Una mossa piena di affettuosa grazia.
   Dimenticavo di dire che Maria era stata sollecita a prendere gli arnesi di lavoro di Giuseppe, per lasciarlo libero di abbracciare il Bambino.
  Poi Giuseppe, che si era accoccolato al suolo per mettersi all’altezza di Gesù, si rialza, riprende con la mano sinistra i suoi arnesi e tiene stretto sul petto robusto, con il braccio destro, il piccolo Gesù. E si avvia verso casa, mentre Maria va alla fonte ad empire la sua anfora.
  Entrato nel recinto della casa, Giuseppe depone il Bambino, prende il telaio di Maria e lo porta in casa, poi munge la capretta. E Gesù osserva attentamente queste operazioni e quella della chiusura della capretta in un piccolo sgabuzzino posto su un lato della casa.
  La sera cala. Vedo il rosso del tramonto farsi violaceo sulle sabbie, che per il calore sembrano tremolare. La piramide sembra più scura.
  Giuseppe entra in casa, in una stanza della casa che deve essere officina, cucina, stanza da pranzo insieme. Si vede che l’altro ambiente è quello destinato al riposo. Ma in quello io non entro. Vi è un basso focolare acceso. Vi è un banco da falegname, una piccola tavola, degli sgabelli, delle mensole con su le poche stoviglie e due lumi ad olio. In un angolo, il telaio di Maria. E molto, molto ordine e nitore. Dimora poverissima ma pulitissima.
  È questa un’osservazione che faccio: in tutte le visioni riguardanti la vita umana di Gesù, ho notato che tanto Lui come Maria, come Giuseppe, come Giovanni, sono sempre ordinati e puliti nella veste e nel capo. Abiti modesti e semplici acconciature, ma di una nitezza che li fa apparire signorili.

  6Gesù questa sera non parla. Non mi illustra la scena. Mi ammaestra col suo dono di visione e basta. Ne sia sempre e ugualmente benedetto.
  
   26 gennaio 1944
  7Dice Gesù:
   «La lezione, a te e agli altri, te la dànno le cose che vedi. È lezione di umiltà, di rassegnazione e di buona armonia. Preposta ad esempio a tutte le famiglie cristiane, e specie alle famiglie cristiane di questo speciale e doloroso momento.

  8Tu hai visto una povera casa. E, quel che è doloroso, casa povera in paese straniero.
  Molti, solo perché sono dei “passabili” fedeli che pregano e ricevono Me-Eucaristico, che pregano e si comunicano per i “loro” bisogni, non per le necessità delle anime e per gloria di Dio — perché è ben raro chi nel pregare non sia egoista — molti pretenderebbero di avere una vita materiale facile, ben riparata da ogni più piccola pena, prospera, felice.
  Giuseppe e Maria avevano Me, Dio vero, per loro Figlio, eppure non ebbero neppure il povero bene d’esser poveri ma nella loro patria, nel paese dove erano conosciuti, dove almeno c’era una casetta “loro” e il pensiero dell’alloggio non c’era a mettere un assillo fra i tanti, nel paese dove, per essere conosciuti, era più facile trovare lavoro e provvedere alla vita. Sono due profughi proprio per avere Me. Clima diverso, paese diverso, così triste rispetto alle dolci campagne della Galilea, lingua diversa, costumi diversi, in mezzo ad una popolazione che non li conosce e che ha la abituale diffidenza delle popolazioni per i profughi e per gli sconosciuti.
  Privi di quei mobili comodi e cari della “loro” casetta, di tante cose umili e necessarie che là vi erano e che non parevano tanto necessarie, mentre qui, nel nulla che li circonda, sembrano addirittura belle come il superfluo che fa deliziose le case dei ricchi. Con la nostalgia del paese e della casa, col pensiero di quella povera roba lasciata là, dell’orticello dove più nessuno provvede, forse, alla vite e al fico e alle altre utili piante. E con la necessità di provvedere al vitto quotidiano, alle vesti, al fuoco giorno per giorno, a Me, bambino, al quale non può essere dato il cibo che è lecito dare a se stessi. E con tanta pena in cuore. Per la nostalgia, per l’incognita del domani, per la diffidenza della gente che è restia, specie nei primi tempi, ad accogliere le offerte di lavoro di due sconosciuti.
  Eppure, l’hai visto. In quella dimora aleggia serenità, sorriso, concordia, e di comune accordo si cerca di farla più bella, anche nel misero orto, perché sia più simile a quella lasciata e più confortevole. Non vi è che un pensiero: quello che a Me, Santo, sia resa meno ostile la terra, meno misera a Me che vengo da Dio. Amore di credenti e di parenti che si estrinseca in mille cure, che vanno dalla capretta, acquistata con tante ore di lavoro in più, ai piccoli giocattoli intagliati negli avanzi del legno, ai frutti presi per Me solo, negando a sé un boccone di cibo.
  Diletto padre mio della Terra, come sei stato amato da Dio, da Dio Padre nell’alto dei Cieli, da Dio Figlio, divenuto Salvatore, sulla Terra!
  In quella casa non vi sono nervosismi, bronci, visi scuri, e non vi è rimprovero reciproco e tanto meno verso Dio, che non li colma di benessere materiale. Giuseppe non rimprovera a Maria d’esser causa del suo disagio, e Maria non rimprovera a Giuseppe di non saperle dare un maggiore benessere. Si amano santamente, ecco tutto, e perciò la loro preoccupazione non è il proprio benestare ma quello del coniuge. Il vero amore non conosce egoismo. E il vero amore è sempre casto, anche se non è perfetto nella castità come quello dei due vergini sposi. La castità unita alla carità porta seco tutto un corredo d’altre virtù e perciò fa, di due che si amano castamente, due perfezioni di coniugi.
  L’amore di mia Madre e di Giuseppe era perfetto. Perciò era fomite ad ogni altra virtù e specie a quella della carità verso Dio, benedetto ad ogni ora, nonostante che la sua santa volontà fosse penosa alla carne e al cuore, benedetto poiché sopra la carne ed il cuore era più vivo e signore nei due santi lo spirito, e questo magnificava con riconoscenza il Signore per averli eletti a custodi del suo eterno Figlio.

  9In quella casa si pregava. Troppo poco si prega nelle case, ora. Si alza il giorno e cala la notte, si iniziano i lavori e vi sedete alla tavola senza un pensiero per il Signore, che vi ha permesso di vedere un nuovo giorno, di poter giungere ad una nuova notte, che ha benedetto le vostre fatiche e concesso che vi divenissero mezzo a conquistarvi quel cibo, quel fuoco, quelle vesti, quel tetto che pure sono necessari alla vostra umanità. Sempre “buono” quello che viene da Dio buono. Anche se povero e scarso, l’amore gli dà sapore e sostanza, l’amore che vi fa vedere nell’eterno Creatore il Padre che vi ama.
  In quella casa vi è frugalità. Vi sarebbe anche se il denaro non mancasse. Ci si nutre per vivere, non ci si nutre per far godere la gola con insaziabilità di ingordi e con capricci di golosi, che si empiono fino ad appesantirsi e sprecano sostanze in cibi costosi senza un pensiero per chi di cibo è scarso o è privo, senza riflettere che, se essi avessero moderazione, molti potrebbero essere sollevati dal morso della fame.
  In quella casa si ama il lavoro. Lo si amerebbe anche se il denaro fosse abbondante, poiché nel lavoro l’uomo ubbidisce al comando di Dio e si libera dal vizio che come edera tenace stringe e soffoca gli oziosi, simili a massi immobili. Buono il cibo, sereno il riposo, contento il cuore quando uno ha ben lavorato e si gode il suo tempo di sosta fra un lavoro e l’altro. Non alligna, nella casa e nella mente di chi ama il lavoro, il vizio dalle molteplici facce. E, non allignando questo, prospera l’affetto, la stima, il rispetto reciproco, e crescono in una atmosfera pura i teneri virgulti, che divengono così origine di future famiglie sante.
  In quella casa regna umiltà. Quanta lezione di umiltà per voi superbi! Maria avrebbe avuto, umanamente, mille e mille ragioni di insuperbirsi e di farsi adorare dal coniuge. Tante fra le donne lo fanno soltanto per essere un poco più colte, o di natale più nobile, o di borsa più ricca del marito. Maria è Sposa e Madre di Dio, eppure serve — non si fa servire — il coniuge, ed è tutta amore per lui. Giuseppe è il capo di casa, giudicato da Dio tanto degno d’esser un capo famiglia, da ricevere da Dio in custodia il Verbo incarnato e la Sposa dell’eterno Spirito. Eppure è sollecito ad alleviare a Maria fatiche e lavori, e le più umili occupazioni di una casa le fa lui perché Maria non si affatichi, non solo, ma come può, per quanto può, la ricrea e si industria a farle comoda la casa e lieto di fiori l’orticello.
  In quella casa è rispettato l’ordine. Soprannaturale, morale, materiale. Dio è il Capo supremo e a Lui viene dato culto e amore: ordine soprannaturale. Giuseppe è il capo della famiglia e a lui viene dato affetto, rispetto e ubbidienza: ordine morale. La casa è un dono di Dio come le vesti e le suppellettili. In tutte le cose è la Provvidenza di Dio che si mostra, di quel Dio che provvede il vello alle pecore, la piuma agli uccelli, l’erba ai prati, il fieno agli animali, i granelli e le fronde ai volatili, e tesse la veste al giglio della convalle. La casa, le vesti, le suppellettili vanno accolte con gratitudine, benedicendo la mano divina che le fornisce e trattandole con rispetto come dono del Signore, senza guardarle con malumore perché povere, senza strapazzarle abusando della Provvidenza: ordine materiale.

 10Non hai compreso le parole scambiate nel dialetto di Nazaret, né le parole della preghiera. Ma le cose viste hanno dato una grande lezione. Meditatela, o voi tutti che ora tanto soffrite per aver mancato in tante cose verso Dio, e fra queste anche in quelle in cui non mancarono mai i santi Sposi che mi furono Madre e padre.
  E tu bèati nel ricordo del piccolo Gesù, sorridi pensando ai suoi passetti di infante. Fra poco lo vedrai camminare sotto una croce. E sarà visione di pianto».

Fonte: http://www.valtortamaria.com/operamaggiore/volume/1/xxxvi-la-sacra-famiglia-in-egitto-una-lezione-per-le-famiglie

------


36- La Sagrada Familia en Egipto.
Una lección para las familias.

25 de Enero de 1944 (12 de la noche).

La suave visión de la Sagrada Familia. El lugar está en Egipto. No tengo dudas de ello porque veo el desierto y una pirámide.

Veo una casucha de un solo piso, el bajo, toda blanca. Una pobre casa de una muy pobre gente. Las paredes están apenas revocadas y cubiertas de una mano de cal. La casita tiene dos puertas, una junto a la otra, que introducen en sus dos únicas habitaciones, en las que, por ahora, no entro. La casita está en medio de un pedazo de tierra arenosa rodeada por una protección de cañas hincadas en el suelo: una protección muy débil contra los ladrones; puede servir sólo como defensa contra algún perro o gato vagabundo. Claro, ¿a quién le van a venir ganas de robar donde se ve que no hay ni sombra de riqueza?

Esta poca tierra que el seto de cañas limita ha sido cultivada pacientemente como una pequeña huerta, a pesar de ser árida y poco fértil. Para hacer más tupido y menos escuálido el seto, han traído unas plantas trepadoras, que me parecen modestos convólvulos. Sólo en uno de los lados, hay un arbusto de jazmines en flor y una mata de rosas de las más comunes. En la huertecilla, en los pocos cuadros del centro, noto que hay unas modestísimas verduras, bajo un árbol dejado crecer libremente, que no sé qué clase de árbol es, y que da un poco de sombra al terreno soleado y a la casita. A este árbol está atada una cabrita blanca y negra, que está comiendo y rumiando las hojas de algunas ramas dejadas caer al suelo.

Allí cerca, sobre una estera extendida en el suelo, está el Niño Jesús. Me da la impresión de que tiene unos dos años, o dos años y medio como mucho. Está jugando con unos pedacitos de madera tallados, que parecen ovejitas o caballitos, y con unas virutas de madera de color claro, menos rizadas que sus bucles de oro. Con sus manitas regordetas está tratando de poner estos collares de madera en el cuello de sus animalitos.

Está tranquilo y sonriente. Muy guapo. Una cabecita toda de bucles de oro muy tupidos; piel clara y delicadamente rosácea; ojitos vivos, brillantes, de color azul intenso. La expresión, naturalmente, es distinta, pero reconozco el color de los ojos de mi Jesús (dos zafiros oscuros y bellísimos).  
Viste una especie de larga camisita blanca, que será, sin duda, su túnica; con las mangas hasta el codo. Los pies, en este momento, al desnudo. Las diminutas sandalias están sobre la estera y juega también con ellas el Niño: mete en la suela sus animalitos, y tira de la correa de la sandalia, como si fuera un carrito. Son unas sandalias muy sencillas: una suela y dos correas, que salen: una, de la puntera; otra, del talón; la de la puntera tiene un punto en que se bifurca y una parte pasa por el ojo de la correa del talón para anudarse luego con la otra parte, formando un anillo en la garganta del pie.

Un poco separada — también a la sombra del árbol — está la Virgen. Está tejiendo en un tosco telar; mientras, vigila al Niño. Veo que las finas y blancas manos van y vienen entramando, y el pie, calzado con sandalia, mueve el pedal. La viste una túnica de color flor de malva, un violeta rosáceo, como el de ciertas amatistas.

Tiene la cabeza descubierta, con lo cual puedo ver cómo sus cabellos rubios están separados en dos en la cabeza y peinados sencillamente con dos trenzas que a la altura de la nuca le forman un bonito moño. Las mangas de la túnica son largas y más bien estrechas. No lleva ningún adorno, aparte de su belleza y de su expresión dulcísima. El color del rostro, del pelo y de los ojos, la forma de la cara, son como siempre que la veo. Aquí parece jovencísima. Aparenta apenas veinte años.

En un momento dado se levanta; se inclina hacia el Niño y, cuidadosamente, le pone otra vez las sandalias y se las ata; lo acaricia y lo besa en la cabecita y en los ojitos.

El Niño farfulla unas palabras y Ella responde, pero no entiendo las palabras. Luego vuelve a su telar, extiende sobre la tela y sobre la trama un paño, coge la banqueta en que estaba sentada y se la lleva a la casa. El Niño la sigue con la mirada, sin importunarla cuando Ella lo deja solo.

Se ve que el trabajo ha terminado y que empieza a caer la tarde. En efecto, el Sol baja hacia las arenas desnudas y un verdadero fuego invade el cielo detrás de la pirámide lejana.

María vuelve. Coge de la mano a Jesús para que se levante de la esterilla. El Niño obedece sin resistencia. Mientras su Mamá está re-cogiendo los juguetes y la estera y llevando esas cosas a casa, Él corre hacia la cabrita con un trotecillo de sus bien torneadas piernecitas, y le echa los bracitos al cuello. La cabrita bala y frota su morrito en los hombros de Jesús.

María vuelve. Tiene ahora un largo velo sobre la cabeza y una ánfora en la mano. Coge a Jesús de la manita y se encaminan los dos, rodeando la casa, hacia la otra fachada.

Yo los sigo, admirando la gracia de la escena: la 'Virgen conformando su paso al del Niño, y el Niño a su lado dando saltitos o pasitos rápidos. Veo cómo se alzan y se posan los rosados talones, con la gracia propia de los pasos de los niños, sobre la arena del senderillo. Me doy cuenta de que su túnica no le llega a los pies, sino sólo hasta la mitad del muslo. Es primorosa, sencillísima, y está sujeta a la cintura por un cordoncito también blanco.

Veo que en la parte delantera de la casa el seto está interrumpido por una tosca cancilla; María la abre para salir al camino (un mísero camino al extremo de una ciudad — o pueblo —, donde el centro habitado termina en el campo abierto, que aquí está constituido de arena y alguna que otra casita, pobre como ésta, con alguna que otra mísera huerta).

No veo a nadie. María mira hacia el centro, no hacia el campo, como si esperara a alguien, luego se dirige a un pilón —
o pozo — que está a unos cuantos metros más arriba, sombreado en círculo por palmeras. Y veo que el terreno en ese lugar tiene hierba verde.

Veo que se acerca por el camino un hombre; no demasiado alto, pero robusto. Reconozco en él a José. Viene sonriente. Es más joven que cuando lo vi en la visión del Paraíso. Aparenta como mucho cuarenta años. Su pelo y barba son tupidos y negros; la piel, más bien tostada; los ojos, oscuros. Un rostro honesto y agradable, un rostro que inspira confianza.

Al ver a Jesús y a María acelera el paso. Trae sobre el hombro izquierdo una especie de sierra y una especie de cepillo de carpintero, y en la mano otras herramientas del oficio, no iguales que las de ahora, pero sí muy parecidas. Parece como si estuviera regresando de haber hecho algún trabajo en casa de alguno. Su vestido es de un color entre avellana y marrón; no muy largo — le llega sólo hasta un buen trozo por encima del tobillo —, con las mangas cortas, hasta el codo. Lleva a la cintura una correa de cuero — me parece —. Se trata de un vestido típicamente de trabajo. Calzan sus pies unas sandalias cruzadas a la altura del tobillo.

María sonríe y el Niño emite unos grititos de alegría mientras tiende hacia adelante su bracito libre. Cuando se encuentran los tres, José se inclina para ofrecerle al Niño un fruto — por el color y la forma, creo que es una manzana —. Luego le tiende los brazos y el Niño deja a su Mamá y se acurruca entre los brazos de José, e inclina su cabecita para apoyarla en la cavidad que forma el cuello de él. José besa a Jesús y Jesús besa a José. Una acción llena de afectuosa gracia.

Me he olvidado de decir que María, diligentemente, había cogido las herramientas de trabajo de José para que pudiera abrazar al Niño sin ningún estorbo.

Luego José, que se había acuclillado para ponerse a la altura de Jesús, se alza de nuevo. Coge sus herramientas con la mano izquierda y mantiene al pequeño Jesús estrechado contra su robusto pecho con la derecha; así, se encamina hacia la casa mientras María va a  la fuente a llenar su ánfora.

Entrado en el recinto de la casa, José baja al suelo al Niño, coge el telar de María y lo lleva a casa; luego ordeña a la cabrita. Jesús observa atentamente estas operaciones, como también la de encerrar a la cabrita en un cuartito hecho en uno de los lados de la casa.
Se pone la tarde. Veo el rojo del ocaso hacerse violáceo sobre la arena que parece temblar por el calor; y la pirámide parece más oscura.

José entra en la casa, en una habitación que debe ser taller, cocina y comedor al mismo tiempo. Se ve que el otro cuarto es el destinado al descanso; pero en él yo no entro. Hay una tenue lumbre encendida. Hay un banco de carpintero, una pequeña mesa, unas banquetas, unas repisas donde están los pocos platos y vasos que tienen y también dos lámparas de aceite. En uno de los rincones, el telar de María. Y... mucho, mucho orden y limpieza; es una morada pobrísima, pero está limpísima.

Quisiera hacer esta observación: en todas las visiones que tienen por objeto la vida humana de Jesús, he notado que, tanto El, como María, como José, como Juan, tienen siempre en orden y limpios el vestido y la cabeza; vestidos modestos, peinados sencillos pero de una limpieza que les hace aparecer señoriales.
María vuelve con el ánfora. Ha llegado rápido el crepúsculo. Cierran la puerta. Una lamparita, que José ha encendido y colocado sobre su banco, da claridad a la habitación; encorvado hacia éste, él sigue trabajando, en unas pequeñas tablas. Mientras tanto María prepara la cena. También la lumbre da claridad a la habitación. Jesús, con sus manitas apoyadas en el  banco y con la cabecita mirando hacia arriba, observa lo que hace José.
Luego se sientan a la mesa después de haber rezado. No se hacen — es natural — el signo de la cruz, pero rezan; José dirige la oración, María responde. No entiendo las palabras. Debe ser un salmo. Lo dicen en una lengua que me es totalmente desconocida.

Se sientan a cenar. Ahora la lamparita está encima de la mesa. María tiene a Jesús en su regazo y le da a beber la leche de la cabrita y moja en la leche unas rebanadas de un pan pequeño y de forma redondeada, de corteza y miga duras. Parece un pan hecho con centeno y cebada. Tiene mucho salvado, claro, porque es pan moreno. Entre tanto, José come pan y queso: una raja delgada de queso y mucho pan. Luego María sienta a Jesús en una banquetita que está a su lado y trae a la mesa unas verduras cocidas — creo que están hervidas y condimentadas en la forma en que normalmente hacemos nosotros — y, después de servirse José, también las come Ella. Jesús mordisquea tranquilo su manzana, y descubre sonriendo sus dientecitos blancos. La cena termina con unas aceitunas o dátiles. No sé bien, porque, para ser aceitunas, son demasiado claras, pero, para ser dátiles, son demasiado duros. Vino, nada. Es una cena de gente pobre.

Pero tanta es la paz que se respira en esta habitación, que no podría dármela igual la visión de ningún pomposo palacio. ¡Y cuánta armonía!

Dice Jesús: 
-La lección, para ti y para los demás, está en las cosas que has visto. Es una lección de humildad, de resignación y de armonía. Sirva de ejemplo a todas las familias cristianas, y, de forma particular, a las que viven en este peculiar y doloroso momento.

Has visto una casa pobre; una casa pobre — y esto es lo doloroso — en un país extranjero.

Muchos, sólo por el hecho de ser unos fieles "pasables", que rezan y me reciben a mí bajo las especies eucarísticas, que rezan y comulgan por "sus" necesidades, no por las necesidades de las almas y para la gloria de Dios — porque es muy raro el que al orar no sea egoísta —, muchos, sólo por este hecho, esperan poder disfrutar de una vida material fácil al amparo del más mínimo dolor, de una vida próspera y feliz.

José y María me tenían a mí, Dios verdadero, como Hijo suyo, y, no obstante, no tuvieron ni siquiera ese mínimo bien de ser pobres en su patria, en el país donde se los conocía; donde, por lo menos, tenían una casita "suya" y al menos la preocupación del alojamiento no añadía angustia a las muchas otras, en el país en que, por ser conocidos, habría sido más fácil encontrar trabajo y proveer a las necesidades de la vida. Son dos expatriados precisamente por tenerme a mí. Un clima distinto, un país distinto — ¡y tan triste respecto a los dulces campos de Galilea! —, lengua distinta, costumbres distintas, allí, entre una gente que no los conocía y que, como es normal entre los pueblos, desconfiaban de expatriados y desconocidos.

Les faltaban los queridos y cómodos muebles de "su" casita, y esas otras muchas cosas, humildes pero necesarias, que allí había y que entonces no parecían tan necesarias, mientras que aquí, rodeados de esta nada, habrían parecido incluso bonitas (como lo superfluo que hace deliciosas las casas de los ricos). Sentían la nostalgia de la tierra y de la casa, y la preocupación de esas pobres cosas dejadas allí, de la huertecita que quizás ninguno cuidaría, de la vid y de la higuera y de las otras plantas útiles. Les apremiaba la necesidad de conseguir el alimento cotidiano, el vestido, el fuego todos los días; y la necesidad de atenderme a mí, un Niño, al cual no se le podía dar la comida que a sí mismo uno puede darse. Y tenían el corazón lleno de pesares: por las nostalgias, la incógnita del mañana, la desconfianza de la gente, reacia como es, especialmente en los primeros momentos, a acoger ofertas de trabajo de dos desconocidos.

Y a pesar de todo, ya has visto cómo en esta morada se respira serenidad, sonrisa, concordia; y cómo, de común acuerdo, se trata de embellecerla — incluso la mísera huertecita — para que se asemeje más a la que han dejado y para hacerla más confortable. Y cómo en ellos hay un solo pensamiento: hacerme esa tierra menos hostil, a mí, Santo; hacerme esa tierra menos mísera, a mí, que vengo de Dios.

Es un amor de creyentes y de padres, que se manifiesta en mil cuidados, que van desde la cabrita — comprada con muchas horas extra de trabajo — hasta los juguetitos tallados en la madera que sobraba, o hasta esa fruta cogida sólo para mí, negándose a sí mismos un bocado.
¡Oh, amado padre mío de la Tierra, cuánto te ha querido Dios, Dios Padre en las Alturas; Dios Hijo, que se ha hecho Salvador, en la Tierra!

En esta casa no hay nerviosismos, caras largas o sombrías, como no hay tampoco el echarse en cara recíprocamente nada, y mucho menos a Dios, que no los ha colmado de bienestar material. José no acusa a María de ser causa de su incomodidad, como tampoco María acusa a José de no saberle dar un mayor bienestar. Se aman santamente, eso es todo, y, por tanto, su preocupación no es el propio bienestar, sino el del cónyuge. El verdadero amor no conoce egoísmo. El verdadero amor es siempre casto, aunque no sea perfecto en la castidad como el de los dos esposos vírgenes. La castidad unida a la caridad conlleva todo un bagaje de otras virtudes y, por tanto, hace, de dos que se aman castamente, dos cónyuges perfectos.

El amor de mi Madre y de José era perfecto. Por tanto era impulso de todas las virtudes, especialmente de la caridad para con Dios, que en todo momento era bendecido, a pesar de que su santa voluntad resultase penosa para la carne y para el corazón; era bendecido porque por encima de la carne y del corazón, en estos dos santos, vivía y dominaba más intensamente el espíritu, el cual magnificaba agradecido al Señor por haberlos elegido para ser los custodios de su eterno Hijo.

En aquella casa se hacía oración. Demasiado poco se reza en las casas ahora. Se levanta el día y desciende la noche, empezáis a trabajar y os sentáis a la mesa... sin un pensamiento para el Señor, que os ha permitido ver un nuevo día, que os ha permitido llegar a una nueva noche, que ha bendecido vuestros esfuerzos y ha concedido que éstos os fueran medio para obtener ese alimento, ese fuego, esos vestidos, ese techo que, sí, también le son necesarios a vuestra condición humana.

Siempre es "bueno" lo que viene de Dios, que es bueno. Aunque ello sea pobre y escaso, el amor le da sabor y sustancia; ese amor que os hace ver en el eterno Creador al Padre que os ama.

En aquella casa había frugalidad. La habría habido aunque el dinero no hubiera faltado. Se comía para vivir, no para gozo de la gula con la insaciabilidad de los comilones y los caprichos de los glotones, que se llenan hasta rebosar o desperdician dinero en alimentos caros sin pensar siquiera en quien escasea de comida o no la tiene, sin reflexionar en que si fueran moderados ellos muchos podrían ser aliviados de las dentelladas del hambre.

En aquella casa había amor por el trabajo. Este amor hubiera existido aunque el dinero hubiera abundado; porque, trabajando, el hombre obedece al mandato de Dios y se libera del vicio que, cual tenaz hiedra, aprieta y ahoga a los ociosos, que son como bloques de piedra inmóviles. Bueno es el alimento, sereno es el descanso, contento se siente el corazón, cuando uno ha trabajado bien y disfruta de su tiempo de reposo entre un trabajo y otro. El vicio, con sus múltiples facetas, no arraiga ni en la casa ni en la mente de quien ama el trabajo; al no arraigar el vicio, prospera el afecto, la estima, el respeto mutuo, y crecen los tiernos vástagos en un ambiente puro, viniendo a ser así a su vez origen de futuras familias santas.

En aquella casa reinaba la humildad. ¡Cuán vasta lección de humildad para vosotros, soberbios! María habría tenido, humanamente, miles de motivos para ensoberbecerse y para obtener que el cónyuge la adorase. Muchas mujeres lo hacen, y sólo por ser un poco más cultas, o de ascendencia más noble, o más acaudaladas que el marido. María es Esposa y Madre de Dios, y, sin embargo, sirve — no se hace servir — al cónyuge, y es toda amor para con él. José es la cabeza en esa casa; ha sido juzgado por Dios digno de ser cabeza de familia, de recibir de Dios al Verbo encarnado y a la Esposa del Espíritu Santo para custodiarlos. Y, con todo, se muestra solícito en aligerar a María de esfuerzos y labores, y se ocupa de los más humildes quehaceres que puede haber en una casa, para que María no se fatigue; y no sólo esto, sino que, como puede, en la medida de sus posibilidades, la alivia y se las ingenia para hacerle cómoda la casa y alegre de flores la pequeña huerta.

En aquella casa se respetaba el orden: sobrenatural, moral y material. Dios, como Señor supremo que es, recibe culto y amor: éste es el orden sobrenatural. José es el cabeza de familia, y recibe afecto, respeto y obediencia: orden moral. La casa es un don de Dios, como también el vestido y los enseres; en todas las cosas se manifiesta la Providencia de Dios, de ese Dios que proporciona la lana a las ovejas, plumas a los pájaros, hierba a los prados, heno a los animales, semillas y ramas a las aves; de ese Dios que teje el vestido del lirio de los valles. Casa, vestido, enseres: estas cosas hay que recibirlas con gratitud, bendiciendo la mano divina que las otorga, tratándolas con respeto, como don del  Señor; no mirándolas, porque sean pobres, con enfado; y sin maltratarlas abusando de la Providencia: éste es el orden material.
No has comprendido la conversación en dialecto nazareno, ni tampoco las palabras de la oración, pero las cosas que has visto han servido de gran lección. ¡Meditadla, vosotros, los que tanto sufrís ahora por haber faltado en tantas cosas a Dios, incluso en aquellas en que jamás faltaron los santos Esposos que me fueron Madre y padre!
Y tú regocíjate con el recuerdo del pequeño Jesús; sonríe pensando en sus pasitos infantiles. Dentro de poco le verás caminar bajo una cruz; entonces será una visión de llanto.

Fuente: http://www.marialuzdivina.com/paginas/evangelio/1/pag36.php


4 commenti:

  1. Cara Mirta, mi chiedevo dove eri andata, ora vedo che ci sei nuovamente e spero ci rimarrai a lungo, cara amica.
    Ciao e buona serata con un forte abbraccio e un sorriso:-)
    Tomaso

    RispondiElimina
  2. Carissimo amico, ho meno tempo di prima per il blog, ma vi penso sempre. Un abbraccio!

    RispondiElimina
  3. Un relato precioso, intenso y lleno de paz, sencillez y mucho Amor.Besicos

    RispondiElimina
  4. Un placer siempre leer tu sabios texto. Besos.

    RispondiElimina


Grazie per la visita.
Gracias por la visita.

Coroncina alla Divina Misericordia

Coroncina della Divina Misericordia
(Dice Gesù a Santa Faustina Kowalska): “Oh! che grandi grazie concederò alle anime che reciteranno questa coroncina” (Diario, 848). “Con essa otterrai tutto, se quello che chiedi è conforme alla mia volontà”. (Diario, 1731). “Recita continuamente la coroncina che ti ho insegnato. Chiunque la reciterà, otterrà tanta Misericordia nell’ora della morte. ” Gesù ha raccomandato di recitare la coroncina a qualsiasi ora ma in particolare nell'ora della propria morte, ossia le 3 del pomeriggio, che Lui stesso ha chiamato un'ora di grande misericordia per il mondo intero. "In quell'ora dice Gesù non rifiuterò nulla all'anima che Mi prega per la Mia Passione" (Diario, 687)..

Coronilla de la Divina Misericordia

Coronilla de la Divina Misericordia
(Dice Gesù a Santa Faustina Kowalska)“Por el rezo de este Rosario, me complace dar todo lo que me pidan. Quien lo rece, alcanzará gran Misericordia en la hora de su muerte. Aunque sea un pecador empedernido, si reza este Rosario, aunque sea una sola vez, logrará la gracia de mi infinita Misericordia”.“Si se reza este Rosario delante de los moribundos, se calma la ira de Dios, y su insondable Misericordia se apodera de su alma. Cuando recen este Rosario al lado del moribundo, me pondré entre el Padre y el alma moribunda, no como justo Juez, sino como Redentor Misericordioso”.

"Se stai cercando Dio e non sai da che parte cominciare, impara a pregare e assumiti l'impegno di farlo ogni giorno..."(Teresa di Calcutta)

Si estás buscando a Dios y no sabes como empezar, aprende a rezar, asume el compromiso de hacerlo cada día...(Teresa de Calcuta)

Apparizioni di Garabandal: Un avviso, un miracolo, un castigo (clic sull'immagine)

Apariciones de Garabandal: Un Aviso, un Milagro, un Castigo (Clic sobre la imagen)

Lettori fissi - Lectores fijos