«Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita». Gv 8,12

«Yo soy la luz del mundo. El que me sigue no andará en tinieblas, sino que tendrá la luz de la Vida». Jn 8,12

L'inferno esiste- El infierno existe y es eterno

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giovedì 22 novembre 2012

Accidia, la società contemporanea depressa- Acedia, la sociedad depresiva







Cos’è dunque l’accidia? Per molti è negligenza, indifferenza, instabilità, pessimismo, sconforto, noia, indolenza, pigrizia... e via elencando. Per Evagrio Pontico – monaco del quarto secolo – essa è la paralisi dell’anima: obiettivo centrato! L’accidioso è decisamente una persona spenta fin da quando apre gli occhi al mattino. Tutto gli pesa. Dentro gli manca qualcosa che lo faccia sentire vivo, interessato, disponibile. L’accidioso non è necessariamente un pigro e un fannullone. Certamente lavora, ma come uno scolaro svogliato. Altre volte, per reazione alla fatica di vivere, si lancia in un attivismo esasperato. Le sue agende sono sempre fitte di appuntamenti, di impegni, di incontri. Il cellulare squilla di continuo. Oggi sono molti quelli che vivono di corsa. Tutti accidiosi? Per saperlo, basterebbe che spegnessero computer e cellulare per qualche ora e se ne stessero soli con se stessi. Se la solitudine li angoscia e il silenzio li spaventa: allora quell’agenda fitta e quel cellulare incollato all’orecchio sono evidenti segnali di un animo accidioso.
PERCIO’…


Cos’è l’accidia? È un malvivere e non è solo di oggi. Da sempre se ne parla come di un male dell’anima. Oggi, però, se la si guarda con preoccupazione è perché ha intaccato il modo di vivere delle nostre società. Qualcuno ha scritto che è la “malattia dello spirito contemporaneo”; un “gas inavvertito in ogni angolo dell’occidente” che ammorba “l’atmosfera del nostro tempo”. Perché, oggi, noi dovremmo essere tutti degli accidiosi? Eppure non siamo né pigri, né fannulloni; anzi, siamo superimpegnati e protagonisti in mille situazioni. Questo è esattamente il nocciolo della questione. L’accidia si annida nella frenesia del nostro tempo.Ci sforziamo come matti di mostrare ogni giorno nuovi interessi, tanti impegni, grande dinamismo; Riempiamo con mille sciocchezze un contenitore che per molti si è svuotato lentamente: il cuore

 L’accidia attecchisce in una vita tutta giocata in superficie, nel fare e strafare: prima o poi da dentro affiora il vuoto: un vuoto intriso di nulla. Come riempirlo? È il dramma di tante esistenze. Di qui la moltiplicazione degli impegni e la ricerca di diversivi. Il vuoto rende impazienti e fa detestare tutto ciò che si ha facendo desiderare ciò che non si ha. E lo si capisce. Quando il giorno successivo è uguale a quello precedente comincia a pesare e la voglia di cambiare aumenta: basta con il solito lavoro che non realizza più;  basta con le relazioni e gli affetti di ieri che non gratificano più oggi. Cercare alternative è l’obbligo esistenziale del momento. In realtà, è solo il segno della difficoltà a reggere il peso delle responsabilità, degli impegni e delle fatiche di ogni giorno. E quando nella vita di un uomo e di una donna questa difficoltà si accompagna all’amara sensazione di aver sbagliato un po’ tutto, allora scoppiano le crisi professionali, matrimoniali, vocazionali e, ovviamente, esistenziali. Il fenomeno è talmente pervasivo per cui nessuna meraviglia se oggi l’accidia viene sentita e sofferta come il vizio di questa società.


I SEGNALI

I segnali tipici di queste società accidiose sono fondamentalmente due: il disinteresse per Dio e la verità e l’incapacità di relazioni stabili e durature.

L’accidia è tendenzialmente un vizio ‘ateo’, nel senso che la mancanza di passione per la vita soffoca anche il desiderio di Dio e della verità. L’uno e l’altra vanno insieme. L’indifferenza spirituale e il disinteresse per Dio penetra la vita di tanta gente. La stessa verità è una prospettiva che non trova cultori, semmai irrisione e derisione. Per vivere, insegnano i maestri del pensiero debole, bastano le proprie opinioni.

L’altro segnale è la facilità con cui relazioni, amicizie e amori “eterni” sfumino nel breve giro di poco tempo. Che fare quando le relazioni diventano tediose e frustranti se non cercare gratificazioni inedite e più intense altrove? Ma dove altrove? Drammatica e sconcertante è l’esperienza di tanti giovani che per non affogare nella noia del lunedì-venerdì si tuffano nello sballo del sabato sera e in emozioni forti: la cronaca, purtroppo, è tutt’altro che avara al riguardo!.

L’accidia è tristezza per il bene, è tristezza per il bene di Dio. È incapacità di rallegrarsi con Dio e in Dio. La nostra cultura è impregnata di accidia.

L'accidia è dunque abulia (inerzia, apatia), indolenza, è una sorta di torpore ( lentezza, pigrizia fisica o mentale) che induce alla distrazione.

Possiamo comprendere meglio tutto questo ricorrendo ad alcuni sinonimi dell'accidia che suonano più familiari ai nostri orecchi: sconforto, svogliatezza, scoraggiamento, tedio, disgusto, noia, male di vivere, quel torpore che si manifesta come costante sonnolenza, e si potrebbe continuare a lungo... L'accidia è la nausea di cui parlava Jean-Paul Sartre, è il non-senso che ci assale, è ciò che si avvicina pericolosamente alla stato di depressione. È un sentimento che sfiora la disperazione, perché porta a non scorgere più la possibilità di un senso e, dunque, di «salvezza». L'accidia può tradursi in uno dei mali più devastanti, l'indifferenza, perché «il contrario dell'amore non è l'odio, ma l'indifferenza; il contrario della vita non è la morte, ma l'indifferenza» (Elie Wiesel).

Secondo Tommaso d'Aquino - e non solo lui - l'accidia è un vizio capitale. Per capitale è da intendersi quel vizio da cui se ne generano altri. È vero, il disimpegno non sempre è figlio dell'indolenza, ma nasce dalle effettive difficoltà a mutare l'andazzo delle cose. Di qui una reale amarezza - amaritudo, dice Tommaso riprendendo Isidoro. L'amarezza indebolisce, non senza, però, alimentare un profondo rancore. Non ci piace come vanno le cose: allora, anziché rompere le regole del gioco, contrapporsi e resistere, si preferisce sparlare di tutto e di tutti. Si trova nel disfattismo il surrogato della virtù. In tal modo, nel momento stesso in cui si resta oziosi ci si permette d'essere critici: si diviene verbosi. L'accidioso, lungi dall'aggredire la radice del malessere e dall'affrontare il nodo dei problemi, divaga: preferisce il pettegolezzo alla ricerca delle cause, non è mai consapevolmente critico, ma genericamente curioso. Tommaso ha perfettamente ragione quando afferma che l'accidia genera 'importunitas mentis e la curiositas. L'accidioso diserta il fine e per non affogare nell'amarezza si distrae: più esattamente si lascia andare. Di qui quella che Tommaso chiama “inquietudo corporis, il muoversi a vuoto, e l'instabilitas, il non trovare un ubi consistam, un luogo in cui stare davvero. Di qui l'evagatio circa illicita. L'accidioso si diverte come può, di occasionali piaceri per compensare la delusione. Per tal via diviene ancora più debole. In taluni casi, fino alla disperazione.

La nostra società non ci permette più d'essere pigri. Essa ci impiega a dovere e molto spesso ci rende più del giusto "indaffarati". Non sempre siamo però soddisfatti di come viviamo. Di qui una voglia indeterminata di far altro, il desiderio di cambiare. Siamo vincolati a scadenze e siamo costretti da obblighi. Tuttavia non sappiamo attendere come dovremmo ai nostri compiti, anche perché, nella maggior parte dei casi, non sono stati scelti da noi. Viviamo nel mondo del fare, ma l'agire è spesso accompagnato dalla disaffezione (Diminuzione o mancanza d'affetto, d'interesse): la smania di distrazione prevale sulla capacità di attenzione. Nella nostra società l'accidia ha preso, dunque, le forme del conformismo sociale e dell'eversione verbale, della curiosità distratta - che impropriamente è fatta valere come divulgazione - anziché della conoscenza accurata delle cose. Quest'ultima - in qualunque modo la si rivolti - esige fatica. L'accidioso non sa faticare. Soprattutto non si sa dedicare. Nel nostro tempo vi sono uomini che non sanno coltivare a lungo neppure un amore. Dicono: che noia! Evagrio, monaco antico, queste cose le conosceva molto bene: "Non basta una sola femmina a soddisfare il voluttuoso e non è abbastanza una sola cella per l'acedioso". L'accidioso non sa portare a compimento l'opera. Tutt'al più è capace di divagazione.



SI PUO’ VINCERE?

Si può. I suggerimenti non mancano: non stupirsi dei propri limiti e fallimenti; dare un senso a tutto ciò che si fa; non rimandare le decisioni da prendere; assumersi le proprie responsabilità e, soprattutto, nei momenti in cui tutto è nero e da buttare, compresi se stessi, non cedere alla tentazione di rimettere tutto in discussione arrivando a decisioni drastiche. Suggerimenti saggi, ma per riavviare il motore della vita dobbiamo convincerci che non siamo in questo mondo per puro caso. Ogni uomo e ogni donna portano nel loro intimo una vocazione, una chiamata alla vita. Uno se la scopre dentro se sa ascoltarla. Seguirla è ritrovare la via della vita; è uscire dalla propria solitudine e insoddisfazione; è scoprire negli altri e con gli altri Chi riempie il cuore e dà senso al presente e al futuro: Dio. Solo approdando in Lui, la vita vive. E’ questa la verità che sant’Agostino ha sperimentato sulla sua pelle: «Dio ci ha fatti per Lui, e il nostro cuore è inquieto finché non trova quiete in Lui».

Qui si innestano anche i suggerimenti indicati dai padri, in particolare quelli monastici, per controllare e vincere il demone dell'accidia. Suggerimenti che hanno essenzialmente tutti a che fare con la vigilanza e il discernimento sulla volontà propria: l'invocazione del nome di Gesù, la preghiera, l'assiduità alle sante Scritture ... Proseguendo su questo solco, io credo che il rimedio per eccellenza rimanga l'eucaristia: eucaristia come esercizio di rendimento di grazie, eucaristia come rapporto con le cose dono di Dio, eucaristia come sacrificium laudis pieno di stupore contemplativo nei confronti del «Dio» che «è amore» (1Gv 4,8.16). L'accidia, infatti, è l'esatto contrario dell'eucaristia, dello spirito di ringraziamento: incapace di cogliere il rapporto con lo «spazio» e il senso delle cose, chi è preda dell'accidia vive nella acharistía, nell'incapacità a stupirsi della bellezza, dell'amore e, quindi, nell'incapacità a rendere grazie.



Crociata di Preghiera (50) – Gesù aiutami a capire chi sei.
Oh Caro Gesù aiutami a capire chi sei
perdonami per non aver parlato con te prima d’ora
aiutami a trovare la pace in questa vita e mostrami
la verità della vita eterna.

Consola il mio cuore
allevia le mie preoccupazioni
dammi la pace
apri il mio cuore ora in modo che tu possa riempire
la mia anima con il Tuo amore.
Amen.








La Acedia es una tristeza por el bien, por los bienes últimos, es tristeza por el bien de Dios. Es una incapacidad de alegrarse con Dios y en Dios. Nuestra cultura está impregnada de Acedia.

La acedia se encuentra instalada en forma de hábitos en las sociedades y  en las culturas, de modo que se puede hablar de una verdadera civilización de la acedia y de esto trata este primer capítulo de esta serie.

Normalmente se habla de la sociedad depresiva, hace pocos años publicó el Padre Tony Anatrella, un jesuita francés, psicólogo social y psicólogo consultor de la Santa Sede, un libro que se llama “La Sociedad Depresiva” en el que nos dice que “la depresión no es solo la enfermedad más extendida en nuestra civilización, sino que es su mal característico”. La nuestra es una sociedad que se caracteriza por ser depresiva, deprimida y de alguna manera deprimente.

La sociedad depresiva ha avanzado muchísimo en procurarles a los hombres bienestar y progreso material, ha llevado a los pueblos a mejorar su nivel de vida, sin embargo eran pueblos que cuando no tenían tanto bienestar sabían celebrar la vida por que se alegraban en las cosas sencillas, y aunque tuvieran menos posibilidades de bienestar tenían sin embargo más alegría. Parece que esta sociedad depresiva, en la medida en la que aumenta el disfrute de las cosas, pierde la capacidad de disfrutar y alegrarse, y produce entonces un nuevo tipo de fiesta, que ya no es la fiesta de la celebración de la vida sino que es una fiesta de evasión de la cual vuelve a la vida diaria con una sensación de aburrimiento o abrumado, después de haber huido como que se recluye de nuevo en la cárcel de las cosas y no encuentra ya la alegría de los vínculos. Es una sociedad en que se está agrediendo a los vínculos y principalmente al principal que es el vínculo con Dios.

La revelación bíblica a unido, y Nuestro Señor Jesucristo une también, el amor a Dios como el primero de todos los vínculos, con el amor al prójimo, como dos amores necesariamente unidos por que el uno es la fuente de los otros; el amor a Dios es el vínculo fontal que permite que el hombre se vincule con los demás amorosamente.

Ya los filósofos griegos, Platón, Aristóteles, explorando las filosofías de la sociedad humana, explorando en que consistiría la felicidad, determinaron que la felicidad no está en las cosas, no está en el dinero, no está en el bienestar, no está en el placer, no está en la fama, no está en la gloria ni en el aplauso de las personas, sólo un bien de su misma naturaleza personal puede hacer feliz a una persona, por lo tanto concluye Aristóteles, la felicidad del hombre puede estar solamente en la amistad con los demás hombres, y la amistad es un amor recíproco, no basta que uno ame a los demás si no es amado por los otros, esa red de relaciones vinculares que conforman la felicidad de los ciudadanos supone la existencia de la virtud, por que si los ciudadanos no son virtuosos esa amistad se corrompe por egoísmo de uno o de los dos, y esa relación –lejos de convertirse en el origen de la felicidad– es la fuente de una explotación del egoísta al generoso, o un pacto de intereses entre dos egoístas, y esto no basta para hacer la felicidad ni de las personas ni de la sociedad.


Llamamos acedia o tristeza por el bien, el ser humano es capaz de no alegrarse en el bien principal que son sus vinculaciones, (con Dios y con las personas), y por lo tanto puede valorar más las cosas que a las personas, esto lo notamos en esta sociedad en la que, a medida que aumentan los adelantos técnicos nos topamos con personas que son cada vez menos capaces de vincularse entre si. Podemos ser muchas veces muy hábiles en el manejo de la computadora, de la Internet, de los celulares, cada vez estamos más comunicados pero cada vez tenemos menos comunión los unos con los otros, cada vez nuestros vínculos son más superficiales, y esa comunicación y relacionamiento entre las personas no nos conduce a unos vínculos tan profundos como antes de estos adelantos técnicos.

Por lo tanto esta civilización va perdiendo, junto con su vínculo con Dios, el vínculo entre las personas llegando a una especie de autismo cultural donde las personas se clausuran dentro de si mismas y tienen más dificultad de relacionarse con otras personas, los vínculos son más frágiles y menos duraderos.

Esta civilización depresiva es la civilización de la acedia, ha perdido la capacidad de alegrarse en el culto divino y por eso a perdido la capacidad de celebrar en la vida con fiestas que celebran la vida, y sus fiestas son una huida del aburrimiento más que una celebración del amor y los vínculos.


Quiero echar mano de una parábola evangélica que nos puede revelar algo de las razones últimas de este mal de la civilización, se trata de la parábola del hijo pródigo. En la parábola del hijo pródigo precisamente encontramos que hay uno de los hijos que se va de la casa del padre por que no aprecia la vinculación con el padre sino que va en busca de otros bienes que no son los bienes principales, se equivoca en la evaluación relativa de los bienes, y abandona el vínculo filial-paterno para buscar su felicidad, conocemos la historia y sabemos que ese intento del hijo pródigo de encontrar la felicidad termina en un fracaso que lo hace volver a la casa del padre, en donde el padre lo está esperando para reanudar el vínculo, el hijo prodigo no se siente digno de reanudar ese vínculo pero el padre le devuelve la confianza y reanuda el vínculo con ese hijo. En realidad el hijo vuelve acuciado por la necesidad, no vuelve con la esperanza de encontrar el bien del vínculo, todavía no ha entrado en la sabiduría filial paterna, el viene a la casa del padre acuciado por una necesidad, pero en su corazón no es la principal necesidad el amor del padre.

Y allí mientras se celebra la fiesta por el hijo llega el otro hijo, el hijo mayor, que vive en la casa del padre y se enoja con la fiesta que el padre hace celebrando la recuperación del hijo que se había perdido, aquí vemos también, que el hijo que había permanecido con el padre no estaba allí por el amor al padre sino por otros motivos, porque si hubiera permanecido en su casa por amor a su padre se habría alegrado con la alegría del padre y se hubiese entristecido con su tristeza por la perdida del hermano; esta parábola nos enseña, entonces, que lo principal era conocido por el padre pero desconocido por los hijos, tanto uno –el que se va– como el otro –el que se queda en casa– no tenían como bien principal el vínculo amoroso con el padre, y por lo tanto los dos necesitaban de sanación, por que los dos ponían las cosas por delante del padre.

La queja del hijo mayor se refiere a los bienes que ha dilapidado su hermano menor, “ese que ha gastado todos sus bienes con prostitutas y en placeres”, no deplora otros males del hermano menor, sin embargo el padre deplora haber perdido al hijo, y se alegra de haberlo recuperado, el padre es el portador de la sabiduría de los vínculos como lo principal, que lo primero es amar a Dios sobre todas las cosas y que sin eso todas las dichas terrenas no alcanzan a ser la felicidad del hombre.

Esa sabiduría elemental se ha perdido en esta cultura de la acedia y por eso esta cultura se aparta cada vez más de Dios, algunos son como el hijo pródigo que se van, esta cultura en gran parte es el hijo pródigo, que se ha ido muy lejos del Padre, que se apartado muy lejos de la revelación del Padre a través del Hijo, se ha apartado de nuestro Señor Jesucristo, y que está en una situación de apostasía, de lejanía, en una postura de haberle dado la espalda al Padre y haberse vuelto a las criaturas lo cual es la definición del pecado, la aversión a Dios y la conversión a las criaturas.




50 - Jesús ayúdame a saber quién eres Tú

Oh querido Jesús, ayúdame a saber quién eres Tú.
Perdóname por no hablar contigo antes de ahora.
Ayúdame a encontrar paz en esta vida y que me sea mostrada
la verdad de la vida eterna.
Calma mi corazón.
Mitiga mis preocupaciones.
Dame paz.
Abre mi corazón ahora para que así Tú puedas llenar
mi alma con Tu amor. Amén.



Para profundizar: http://www.es.catholic.net/sectasapologeticayconversos/574/1436/articulo.php?id=55203


12 commenti:

  1. Buon inizio di giornata cara Mirta.
    Affrontiamo ogni giorno sorridendo sperando che Dio ci aiuti sempre.
    Tomaso

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  2. Ciao Mirta, questo post è interessantissimo, me lo salvo e lo leggo con calma..grazie mille!!
    Un abbraccio e buona giornata!!
    Carmen

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  3. Ciao Mirta. Oggi il tuo post è molto interessante e davvero bisogna ritrovare un pò di voglia di volersi bene! E di essere meno passivi! Buona giornata! :)

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  4. Ciao Mirta anche questo tuo post va letto e meditato
    e ci insegna la volonta di aiutarci ed amarci,
    ti auguro un buon fine settimana:)

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  5. ciao...interessante..e molto utile..mi fai pensare alla catechesi che ho ascoltato stasera da un frate...parlava dei brani del Vangelo di Matteo e Luca sui talenti.... ciao..un abbraccio..luigina

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  6. Qualche volta la pigrizia mi prende...

    Un bacione

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  7. Post interessante che condivido!! Felice fine settimana...ciao

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  8. La depressione, il male di vivere, affligge tante povere persone. Difficile aiutarle.
    Buona domenica Mirta. Ci mancherete domani a Milano.

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  9. Lo dico anch'io Mirta. Avrei voluto incontrarvi domani a Milano. Ti lascio un abbraccio.

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  10. Mirta minha Querida.
    Venho te desejar um feliz e abençoado Domingo.
    Beijos no coração,Evanir.

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  11. Ciao, Buona sera!
    Mirta!
    Va bene?
    Viviamo in un mondo preoccupato e depresso, lasciando il lato dell'amore. Quando, infatti, questa felicità qui! Essere felici è quello di godere di ogni momento, è quello di accettare ed essere accettati per il prossimo, di amare e di essere amato, amare te stesso prorpio, si vedono le piccole cose della vita quotidiana, quanto sia prezioso.
    Grazie per la cura del messaggio!
    grande Domenica!
    Baci
    ClicAki Blog(IN)FELIZ

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  12. Grazie a tutti voi!! Un salutone!!

    Muchas gracias!! Un gran saludo!!

    RispondiElimina


Grazie per la visita.
Gracias por la visita.

Coroncina alla Divina Misericordia

Coroncina della Divina Misericordia
(Dice Gesù a Santa Faustina Kowalska): “Oh! che grandi grazie concederò alle anime che reciteranno questa coroncina” (Diario, 848). “Con essa otterrai tutto, se quello che chiedi è conforme alla mia volontà”. (Diario, 1731). “Recita continuamente la coroncina che ti ho insegnato. Chiunque la reciterà, otterrà tanta Misericordia nell’ora della morte. ” Gesù ha raccomandato di recitare la coroncina a qualsiasi ora ma in particolare nell'ora della propria morte, ossia le 3 del pomeriggio, che Lui stesso ha chiamato un'ora di grande misericordia per il mondo intero. "In quell'ora dice Gesù non rifiuterò nulla all'anima che Mi prega per la Mia Passione" (Diario, 687)..

Coronilla de la Divina Misericordia

Coronilla de la Divina Misericordia
(Dice Gesù a Santa Faustina Kowalska)“Por el rezo de este Rosario, me complace dar todo lo que me pidan. Quien lo rece, alcanzará gran Misericordia en la hora de su muerte. Aunque sea un pecador empedernido, si reza este Rosario, aunque sea una sola vez, logrará la gracia de mi infinita Misericordia”.“Si se reza este Rosario delante de los moribundos, se calma la ira de Dios, y su insondable Misericordia se apodera de su alma. Cuando recen este Rosario al lado del moribundo, me pondré entre el Padre y el alma moribunda, no como justo Juez, sino como Redentor Misericordioso”.

"Se stai cercando Dio e non sai da che parte cominciare, impara a pregare e assumiti l'impegno di farlo ogni giorno..."(Teresa di Calcutta)

Si estás buscando a Dios y no sabes como empezar, aprende a rezar, asume el compromiso de hacerlo cada día...(Teresa de Calcuta)

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