«Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita». Gv 8,12

«Yo soy la luz del mundo. El que me sigue no andará en tinieblas, sino que tendrá la luz de la Vida». Jn 8,12

L'inferno esiste- El infierno existe y es eterno

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giovedì 6 settembre 2018

Giovanni Paolo II: tutte le ragioni in favore della «sottomissione» della donna all'uomo nel matrimonio debbono essere interpretate nel senso di una «reciproca sottomissione» di ambedue «nel timore di Cristo».






El texto en español se lee acá 

Cari amici,
adesso ho meno tempo di prima da dedicare a questo blog, perciò potrò solo pubblicare qualche post  di tanto in tanto.  Colgo l’occasione per ringraziare gli amici carissimi che sempre si fanno vivi con i suoi calorosi commenti e gentili saluti.
 Questa volta vorrei raccontarvi  che qualche giorno fa mi è capitato un episodio che mi ha turbato molto e che mi ha portato a riflettere parecchio, cercando risposte. Un sacerdote in confessione mi ha detto: “nella Lettura di oggi San Paolo dice che le mogli devono essere sottomesse al marito. Sii sottomessa a tuo marito”. Io davanti al sacerdote sono rimasta in silenzio, non ho detto nulla, anche se non ero convinta su ciò che mi diceva, forse lui se ne accorto che non ho accondisceso, perché l’ho visto abbastanza agitato. Poi la confessione è finita normalmente.

Dopo io ho continuato a riflettere e a farmi delle domande,  infatti sapevo che il cristianesimo ha sempre elevato la dignità e il valore della donna, allora non potevo capire questo che mi era stato detto da un sacerdote cattolico. Così ho letto diversi testi, finché ho trovato la spiegazione giusta a questo brano della Bibbia nella LETTERA APOSTOLICA MULIERIS DIGNITATEM (Dignità della donna) di Giovanni Paolo II, scritta in occasione dell’anno Mariano.

Raccomando specialmente alle donne di leggere e di fare tesoro di questo documento del nostro grande Papa Santo, che si trova a questo link,  per evitare le perplessità e i dubbi che ho avuto io. 

Di seguito trascriverò alcuni brani del capitolo VII LA CHIESA - SPOSA DI CRISTO, che contiene  il paragrafo “La «novità» evangelica”,  dove ho  trovato la risposta che cercavo:
L'autore della Lettera agli Efesini non vede alcuna contraddizione tra un'esortazione così formulata e la costatazione che «le mogli siano sottomesse ai loro mariti come al Signore; il marito, infatti, è capo della moglie» (5, 22-23). L'autore sa che questa impostazione, tanto profondamente radicata nel costume e nella tradizione religiosa del tempo, deve essere intesa e attuata in un modo nuovo: come una «sottomissione reciproca nel timore di Cristo» (cf. Ef 5, 21); tanto più che il marito è detto «capo» della moglie come Cristo è capo della Chiesa, e lo è al fine di dare «se stesso per lei» (Ef 5, 25) e dare se stesso per lei è dare perfino la propria vita. Ma, mentre nella relazione Cristo-Chiesa la sottomissione è solo della Chiesa, nella relazione marito-moglie la «sottomissione» non è unilaterale, bensì reciproca!
In rapporto all'«antico» questo è evidentemente «nuovo»: è la novità evangelica. Incontriamo diversi passi in cui gli scritti apostolici esprimono questa novità, sebbene in essi si faccia pure sentire ciò che è «antico», ciò che è radicato anche nella tradizione religiosa di Israele, nel suo modo di comprendere e di spiegare i sacri testi, come, ad esempio, quello di Genesi (c. 2)[49].
Le Lettere apostoliche sono indirizzate a persone che vivono in un ambiente che ha lo stesso modo di pensare e di agire. La «novità» di Cristo è un fatto: essa costituisce l'inequivocabile contenuto del messaggio evangelico ed è frutto della redenzione. Nello stesso tempo, però, la consapevolezza che nel matrimonio c'è la reciproca «sottomissione dei coniugi nel timore di Cristo», e non soltanto quella della moglie al marito, deve farsi strada nei cuori, nelle coscienze, nel comportamento, nei costumi. E' questo un appello che non cessa di urgere, da allora, le generazioni che si succedono, un appello che gli uomini devono accogliere sempre di nuovo. L'apostolo scrisse non solo: «In Gesù Cristo (...) non c'è più uomo né donna», ma anche: «Non c'è più schiavo né libero». E tuttavia, quante generazioni ci sono volute perché un tale principio si realizzasse nella storia dell'umanità con l'abolizione dell'istituto della schiavitù! E che cosa dire delle tante forme di schiavitù, alle quali sono soggetti uomini e popoli, non ancora scomparse dalla scena della storia?
La sfida, però, dell'«ethos» della redenzione è chiara e definitiva. Tutte le ragioni in favore della «sottomissione» della donna all'uomo nel matrimonio debbono essere interpretate nel senso di una «reciproca sottomissione» di ambedue «nel timore di Cristo». La misura del vero amore sponsale trova la sua sorgente più profonda in Cristo, che è lo Sposo della Chiesa, sua Sposa.

Nel Cap. III  sotto il titolo IMMAGINE E SOMIGLIANZA DI DIO, il Papa Santo spiega che  l’uomo e la donna sono immagine di Dio.
Dobbiamo collocarci nel contesto di quel «principio» biblico, in cui la verità rivelata sull'uomo come «immagine e somiglianza di Dio» costituisce l'immutabile base di tutta l'antropologia cristiana[. «Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» (Gen 1, 27). Questo passo conciso contiene le verità antropologiche fondamentali: l'uomo è l'apice di tutto l'ordine del creato nel mondo visibile - il genere umano, che prende inizio dalla chiamata all'esistenza dell'uomo e della donna, corona tutta l'opera della creazione -; ambedue sono esseri umani, in egual grado l'uomo e la donna, ambedue creati a immagine di Dio. Questa immagine e somiglianza con Dio, essenziale per l'uomo, dall'uomo e dalla donna, come sposi e genitori, viene trasmessa ai loro discendenti: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela» (Gen 1, 28). Il Creatore affida il «dominio» della terra al genere umano, a tutte le persone, a tutti gli uomini e a tutte le donne, che attingono la loro dignità e vocazione dal comune «principio».
E poi continua dicendo che,
L'immagine e somiglianza di Dio nell'uomo, creato come uomo e donna (per l'analogia che si può presumere tra il Creatore e la creatura), esprime pertanto anche l'«unità dei due» nella comune umanità. Questa «unità dei due», che è segno della comunione interpersonale, indica che nella creazione dell'uomo è stata inscritta anche una certa somiglianza della comunione divina («communio»). Questa somiglianza è stata inscritta come qualità dell'essere personale di tutt'e due, dell'uomo e della donna, ed insieme come una chiamata e un compito. Sull'immagine e somiglianza di Dio, che il genere umano porta in sé fin dal «principio», è radicato il fondamento di tutto l'«ethos» umano: l'Antico e il Nuovo Testamento svilupperanno tale «ethos», il cui vertice è il comandamento dell'amore .
Nell'«unità dei due» l'uomo e la donna sono chiamati sin dall'inizio non solo ad esistere «uno accanto all'altra» oppure «insieme», ma sono anche chiamati ad esistere reciprocamente «l'uno per l'altro» .




Nel capitolo IV sotto il titolo “EVA – MARIA” Giovanni Paolo II spiega che,

Modello di una tale interpretazione della persona è Dio stesso come Trinità, come comunione di Persone. Dire che l'uomo è creato a immagine e somiglianza di questo Dio vuol dire anche che l'uomo è chiamato ad esistere «per» gli altri, a diventare un dono.

E poi aggiunge nel Capi. III, sotto il titolo IMMAGINE E SOMIGLIANZA DI DIO

Ciò riguarda ogni essere umano, sia donna che uomo, i quali lo attuano nella peculiarità propria dell'una e dell'altro. Nell'ambito della presente meditazione circa la dignità e la vocazione della donna, questa verità sull'essere umano costituisce l'indispensabile punto di partenza. Già il Libro della Genesi permette di scorgere, come in un primo abbozzo, questo carattere sponsale della relazione tra le persone, sul cui terreno si svilupperà a sua volta la verità sulla maternità, nonché quella sulla verginità, come due dimensioni particolari della vocazione della donna alla luce della Rivelazione divina. Queste due dimensioni troveranno la loro più alta espressione all'avvento della «pienezza del tempo» (cf. Gal 4, 4) nella figura della «donna» di Nazareth: Madre-Vergine.

Giovanni Paolo II nel capitolo IV spiega che, 

La descrizione biblica del Libro della Genesi delinea la verità circa le conseguenze del peccato dell'uomo, come indica, altresì, il turbamento  di quell'originaria relazione tra l'uomo e la donna che corrisponde alla dignità personale di ciascuno di essi. L'uomo, sia maschio che femmina, è una persona e, dunque, «la sola creatura che sulla terra Dio abbia voluto per se stessa»; e nello stesso tempo proprio questa creatura unica e irripetibile «non può ritrovarsi se non mediante un dono sincero di sé». Da qui prende inizio il rapporto di «comunione», nella quale si esprimono l'«unità dei due» e la dignità personale sia dell'uomo che della donna. Quando dunque leggiamo nella descrizione biblica le parole rivolte alla donna: «Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà» (Gen 3, 16), scopriamo una rottura e una costante minaccia proprio nei riguardi di questa «unità dei due», che corrisponde alla dignità dell'immagine e della somiglianza di Dio in ambedue. Tale minaccia risulta, però, più grave per la donna. Infatti, all'essere un dono sincero, e perciò al vivere «per» l'altro subentra il dominio: «Egli ti dominerà». Questo «dominio» indica il turbamento e la perdita della stabilità di quella fondamentale eguaglianza, che nell'«unità dei due» possiedono l'uomo e la donna: e ciò è soprattutto a sfavore della donna, mentre soltanto l'eguaglianza, risultante dalla dignità di ambedue come persone, può dare ai reciproci rapporti il carattere di un'autentica «communio personarum». Se la violazione di questa eguaglianza, che è insieme dono e diritto derivante dallo stesso Dio Creatore, comporta un elemento a sfavore della donna, nello stesso tempo essa diminuisce anche la vera dignità dell'uomo. Tocchiamo qui un punto estremamente sensibile nella dimensione di quell'«ethos» che è inscritto originariamente dal Creatore già nel fatto stesso della creazione di ambedue a sua immagine e somiglianza.
Questa affermazione di Genesi 3, 16 è di una grande, significativa portata. Essa implica un riferimento alla reciproca relazione dell'uomo e della donna nel matrimonio. Si tratta del desiderio nato nel clima dell'amore sponsale, che fa sì che «il dono sincero di sé» da parte della donna trovi risposta e completamento in un analogo «dono» da parte del marito. Solamente in base a questo principio tutt'e due, e in particolare la donna, possono «ritrovarsi» come vera«unità dei due» secondo la dignità della persona. L'unione matrimoniale esige il rispetto e il perfezionamento della vera soggettività personale di tutti e due. La donna non può diventare «oggetto» di «dominio» e di «possesso» maschile. Ma le parole del testo biblico riguardano direttamente il peccato originale e le sue durature conseguenze nell'uomo e nella donna. Gravati dalla peccaminosità ereditaria, essi portano in sé il costante «fomite del peccato», cioè la tendenza a intaccare quell'ordine morale, che corrisponde alla stessa natura razionale ed alla dignità dell'uomo come persona. Questa tendenza si esprime nella triplice concupiscenza, che il testo apostolico precisa come concupiscenza degli occhi, concupiscenza della carne e superbia della vita (cf. 1 Gv 2, 16). Le parole della Genesi, riportate precedentemente (3, 16), indicano in che modo questa triplice concupiscenza, quale «fomite del peccato», graverà sul reciproco rapporto dell'uomo e della donna.
[…]

Perciò, anche la giusta opposizione della donna di fronte a ciò che esprimono le parole bibliche: «Egli ti dominerà» (Gen 3, 16) non può a nessuna condizione condurre alla «mascolinizzazione» delle donne. La donna - nel nome della liberazione dal «dominio» dell'uomo - non può tendere ad appropriarsi le caratteristiche maschili, contro la sua propria «originalità» femminile. Esiste il fondato timore che su questa via la donna non si «realizzerà», ma potrebbe invece deformare e perdere ciò che costituisce la sua essenziale ricchezza. Si tratta di una ricchezza enorme. Nella descrizione biblica l'esclamazione del primo uomo alla vista della donna creata è un'esclamazione di ammirazione e di incanto, che attraversa tutta la storia dell'uomo sulla terra.
Le risorse personali della femminilità non sono certamente minori delle risorse della mascolinità, ma sono solamente diverse. La donna dunque - come, del resto, anche l'uomo - deve intendere la sua «realizzazione» come persona, la sua dignità e vocazione sulla base di queste risorse, secondo la ricchezza della femminilità, che ella ricevette nel giorno della creazione e che eredita come espressione a lei peculiare dell'«immagine e somiglianza di Dio». Solamente su questa via può essere superata anche quell'eredità del peccato che è suggerita dalle parole della Bibbia: «Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà». Il superamento di questa cattiva eredità è, di generazione in generazione, compito di ogni uomo, sia donna che uomo. Infatti, in tutti i casi nei quali l'uomo è responsabile di quanto offende la dignità personale e la vocazione della donna, egli agisce contro la propria dignità personale e la propria vocazione.



P. S. Per favore diffondete questo post nei vostri blog e social media affinché tutti sappiano e non si ripetano episodi come questo che è successo a me. 




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Coroncina alla Divina Misericordia

Coroncina della Divina Misericordia
(Dice Gesù a Santa Faustina Kowalska): “Oh! che grandi grazie concederò alle anime che reciteranno questa coroncina” (Diario, 848). “Con essa otterrai tutto, se quello che chiedi è conforme alla mia volontà”. (Diario, 1731). “Recita continuamente la coroncina che ti ho insegnato. Chiunque la reciterà, otterrà tanta Misericordia nell’ora della morte. ” Gesù ha raccomandato di recitare la coroncina a qualsiasi ora ma in particolare nell'ora della propria morte, ossia le 3 del pomeriggio, che Lui stesso ha chiamato un'ora di grande misericordia per il mondo intero. "In quell'ora dice Gesù non rifiuterò nulla all'anima che Mi prega per la Mia Passione" (Diario, 687)..

Coronilla de la Divina Misericordia

Coronilla de la Divina Misericordia
(Dice Gesù a Santa Faustina Kowalska)“Por el rezo de este Rosario, me complace dar todo lo que me pidan. Quien lo rece, alcanzará gran Misericordia en la hora de su muerte. Aunque sea un pecador empedernido, si reza este Rosario, aunque sea una sola vez, logrará la gracia de mi infinita Misericordia”.“Si se reza este Rosario delante de los moribundos, se calma la ira de Dios, y su insondable Misericordia se apodera de su alma. Cuando recen este Rosario al lado del moribundo, me pondré entre el Padre y el alma moribunda, no como justo Juez, sino como Redentor Misericordioso”.

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