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Ratzinger e il Concilio: «Lì fu chiaro chi fa
la Chiesa: l’azione dello Spirito»
12 Marzo 2013 |
Emmanuele Michela
Quanto è attuale oggi, giorno d’apertura del Conclave,
la lezione di Benedetto XVI sul “Concilio dei Padri” e quello “dei media”. Lo
spiega don Andrea Bellandi.
Giorni di Conclave, congregazioni, incontri e
dialoghi. Il futuro della Chiesa inizia a delinearsi oggi, con l’ingresso
questo pomeriggio dei Cardinali nella Cappella Sistina per eleggere il 266esimo
Papa della storia. Tra indiscrezioni, pronostici, favoriti e “papabili”, tanti
giornali sono caduti nel rischio di tratteggiare l’evento solo come un gioco di
strategia e potere, parole fin troppo inflazionate quando si parla di Chiesa.
Ma appena prima di ritirarsi Benedetto XVI ha avuto parole anche per la Chiesa
dipinta dai media, raccontando, durante l’incontro col clero romano, uno dei
momenti fondamentali della sua formazione e di tutta la storia ecclesiale:
il Concilio
Vaticano II. Una lezione ricca e puntuale, dove emerge tutta la
straordinarietà di quell’evento, il clima cordiale che spinse i partecipanti ad
abbandonare l’atmosfera già “preconfezionata” per potersi invece conoscere un
po’ meglio, e un affondo finale sulla differenza tra il “Concilio dei Padri” e
il “Concilio dei media”. Temi che abbiamo approfondito insieme a don Andrea
Bellandi, docente di Teologia fondamentale alla Facoltà teologica dell’Italia
Centrale.
Pochi giorni dopo l’annuncio della sua
rinuncia, Benedetto XVI ha parlato del Concilio Vaticano II. Che importanza ha
rifarsi in questo momento a quell’evento così significativo?
Credo che la ragione stia nella frase che il Papa ha
citato anche all’ultimo discorso ai cardinali, quella di Romano Guardini: «La Chiesa si risveglia nelle
anime». Per Ratzinger il Concilio Vaticano II è un evento di importanza
ecclesiale enorme, dove la Chiesa si è riscoperta nuovamente nella sua natura
più profonda. In fondo, i documenti principali del Concilio guardano alle
questioni cardine della Chiesa, ossia la liturgia come sua radice frutto
dell’iniziativa di Dio, poi la parola di Dio con la costituzione Dei
Verbum, la Lumen Gentium sulla Chiesa e infine la Gaudium
et Spes per la Chiesa nel mondo contemporaneo.
Che importanza ha avuto il Concilio per la
formazione di Benedetto XVI?
È stata una straordinaria esperienza, vissuta con
grande entusiasmo. Intanto lo ha messo a contatto con alcune figure molto
grandi: vescovi, teologi come De Lubac, Rahner, Congar… Poi gli ha offerto la
possibilità di assaporare un respiro universale della Chiesa, in un momento in
cui si stava già delineando quel processo che ora purtroppo vediamo in tutte le
sue conseguenze, cioè il suo distacco dalla vita della gente. In quel Concilio si
è ripresa in mano la necessità della testimonianza che la Chiesa deve offrire
al mondo. Per Ratzinger tutto ciò ha rappresentato la possibilità di influire
su alcuni dei fondamenti di quel momento cruciale della Chiesa. Come ad esempio
la Dei Verbum: la domanda allora era se la rivelazione venisse
comunicata all’uomo solo attraverso Scrittura, e quindi se questa si riducesse
al solo testo, oppure se fosse espressione di una vita consegnata da Cristo
alla Chiesa, dentro alla quale la Scrittura stessa gioca il suo ruolo. Il
discorso ovviamente rimane attuale anche oggi: si incontra il Signore nella
sola Parola, o nella vita del suo corpo?
Singolare poi è leggere quel passaggio in cui
il Papa racconta del clima un po’ preconfezionato dei primi giorni di Congresso
e di come i cardinali chiesero tempo per conoscersi un po’, ed essere soggetti
loro stessi del Congresso…
In questo senso mi sembra che al Concilio si sia preso
più coscienza di chi fa la Chiesa: strategie ed organizzazione, come per altro
al Sinodo, nella sua bellissima omelia, Benedetto XVI accusava come tentazione,
oppure se la fa l’azione dello Spirito del Signore. All’inizio del Concilio si
trattava di scegliere tra queste alternative: o iniziare un Concilio già
deciso, con schemi e persone preventivamente scelte, oppure mettersi in ascolto
di ciò che effettivamente lo Spirito stava facendo. Per questo, però, c’era
bisogno di parlarsi, conoscersi, confrontarsi. È un po’ la stessa cosa che in
questi giorni è successo a Roma, fatte ovviamente le dovute distinzioni: i
cardinali prima di entrare in Conclave si son presi un po’ di tempo per
dialogare ed ascoltarsi.
Alla fine della sua lezione al clero romano,
Benedetto XVI si sofferma poi sulla distanza tra il concilio dei Padri e quello
dei media. Una distanza purtroppo evidente ancora adesso…
Paradossalmente ancora di più oggi. Di fatto
l’influsso dei media sulla coscienza della gente è chiaramente più grande ora
di cinquant’anni fa. È grande il rischio che anche tra gli stessi credenti
passi un’idea di Chiesa e di rapporto tra vescovi e cardinali che non sia
secondo logiche di fede ma politiche. Di fatto il Papa alla fine di questo
discorso ha fatto capire l’influenza che questa posizione ha avuto nel
post-Concilio, dove le tematiche sono state sviluppate secondo una logica del
mondo e non quella di fede. Ad esempio, Benedetto XVI parla della liturgia:
l’interesse che la liturgia non fosse una cerimonia riservata ai soli preti si
trasformò sia in una visione orizzontalista e quasi attivistica, cioè quasi
un’espressione più del nostro sentimento che del effettivo Mistero che lì si
compie. Oppure l’idea della “collegialità” dei Vescovi: era un concetto
teologico, cioè il fatto che la Chiesa è affidata al successore di Pietro e
anche a tutti i Vescovi. Ecco, questo è stato riletto secondo canoni di
democraticismo e di “parlamentarismo”.
Rimanendo sul tema della “collegialità”,
interessante è quanto diceva il Papa sulla Chiesa, che proprio in quel Concilio
si riscoprì nella sua natura di «Corpo mistico di Cristo»: «non è
un’organizzazione, qualcosa di strutturale, giuridico, istituzionale – anche
questo -, ma è un organismo una realtà vitale, che entra nella mia anima, così
che io stesso, proprio con la mia anima credente, sono elemento costruttivo
della Chiesa come tale». E da qui arriva poi ad affermare l’importanza della
“collegialità”. Ci aiuti a capire il valore di questa parola, allora come
adesso.
“Collegialità” vuol dire rispettare la struttura che
Cristo ha inteso dare alla sua Chiesa fin dall’inizio, cioè ha voluto chiamare
12 apostoli: non uno solo, ne tanti indiscriminatamente, ma alcuni uomini che
fossero il segno vivo e autorevole della sua Presenza. Quindi la Chiesa
riscoprendo la collegialità ha riscoperto una categoria che al Concilio forse
non fu molto sviluppata, ma molto importante: la Chiesa come comunione. Questo
vale sia come struttura gerarchica della Chiesa, che per ogni fedele: è una
comunione dove anche il singolo battezzato con la sua fede ed il suo sì edifica
questo corpo.
Il Papa però, chiudendo il suo discorso, ha
stupito tutti: «Mi sembra che, 50 anni dopo il Concilio, vediamo come questo
Concilio virtuale si rompa, si perda, e appare il vero Concilio con tutta la
sua forza spirituale». In base a cosa può proclamare la sua vittoria?
In questi ultimi trent’anni siamo stati testimoni di
alcune devastazioni o calamità (come le chiama Ratzinger) che questo
post-Concilio virtuale ha generato, è vero. Ma abbiamo visto anche una ripresa
maggiore di consapevolezza da parte del laicato: il papato di Giovanni Paolo II
e quello di Benedetto XVI sono stati generatori di una ripresa di coscienza e
di vita del popolo cristiano, a livello di parrocchie, associazioni,
movimenti… Qui si vive un cammino di fede che forse oggi, rispetto a 50
anni fa, è più ristretto come numero ma più profondo e più sentito rispetto ad
un cattolicesimo di tradizione: era dominante a livello esteriore nel secondo
dopoguerra ma già allora nascondeva delle crepe. Sotto gli ultimi due
pontificati sono emersi in tutta la loro bellezza alcuni segnali inequivocabili
di vita.
+++
(español)
Traducción de David
RATZINGER Y EL CONCILIO : «ALLÍ FUE CLARO QUIEN HACE LA
IGLESIA: LA ACCIÓN DEL ESPÍRITU»
Emmanuele
Michela | 12.03.2013
Cuanto
es actual hoy, día de apertura del Cónclave, la lección de Benedicto XVI sobre
el “Concilio de los Padres” y aquello “de los medios”. Lo explica el padre
Andrea Bellandi.
[...]
apenas antes de retirarse, Benedicto XVI tuvo palabras también para la Iglesia
pintada por los medios, contando, durante el encuentro con el Clero romano, uno
de los momentos fundamentales de su formación y de toda la historia eclesial:
el Concilio Vaticano II. Una lección rica y puntual, donde emerge todo lo
extraordinario de aquel evento, el clima cordial que empujó a los participantes
a abandonar la atmosfera ya “preconfeccionada” y en cambio poder conocerse un
poco mejor, y una estocada final sobre la diferencia entre el “Concilio de los
Padres” y el “Concilio de los medios”.
Temas que hemos profundizado juntos al padre Andrea Bellandi, profesor de
Teología fundamental en la Facultad teológica de la Italia Central.
Pocos días después del anuncio de
su renuncia, Benedicto XVI habló del Concilio Vaticano II. ¿Qué importancia
tiene en este momento aquel evento tan significativo?
“Creo
que la razón está en la frase que el Papa citó también en su último discurso a
los cardenales, aquélla de Romano Guardini: «La
Iglesia se despierta en las almas». Según Ratzinger el Concilio Vaticano II es
un evento con una enorme importancia eclesial, donde la Iglesia se descubrió
nuevamente en su naturaleza más profunda. En el fondo, los documentos
principales del Concilio miran a las cuestiones que son el pernio de la
Iglesia, o sea la Liturgía como su raíz fruto de la iniciativa de Dios, pues la
Palabra de Dios con la constitución Dei Verbum, la Lumen Gentium sobre la
Iglesia y finalmente la Gaudium et Spes para la Iglesia en el mundo
contemporáneo.”
¿Qué
importancia tuvo el Concilio para la formación de Benedicto XVI?
“Fue una extraordinaria experiencia vivida con gran
entusiasmo. Mientras tanto lo puso en contacto con algunas figuras muy grandes:
obispos, teólogos como De Lubac, Rahner, Congar… Pues le ofreció la posibilidad
de saborear un respiro universal de la Iglesia, en un momento en el cual se
estaba ya delineando aquel proceso que ahora lamentablemente vemos en todas sus
consecuencias, es decir su separación de la vida de la gente. En aquel Concilio
se ha retomado la necesidad del testimonio que la Iglesia debe ofrecer al
mundo. Para Ratzinger todo eso ha representado la posibilidad de influir sobre
algunos de los fundamentos de aquel momento crucial de la Iglesia. Como por
ejemplo la Dei Verbum: la pregunta entonces era si la revelación fuese
comunicada al hombre sólo a través de la Escritura, y por tanto si ésta se
redujera al solo texto, o si fuese expresión de una vida entregada por Cristo a
la Iglesia, dentro de la cual la Escritura misma juega su papel. El discurso,
obviamente, queda actual también hoy: ¿se encuentra al Señor en la Palabra
solamente, o en la vida de su cuerpo?”
Singular,
pues, es leer aquel pasaje en el cual el Papa cuenta acerca del clima un poco preconfeccionado
de los primeros días del Congreso y de como los cardenales pidieron tiempo para
conocerse un poco, y ser sujetos ellos mismos del Congreso ...
“En este sentido me parece que en el Concilio se
tomó más conciencia de quien hace la Iglesia: estrategias y organización, como
además en el Sínodo, en su bellísima homilía, Benedicto XVI acusaba como
tentación, o si la hace la acción del Espíritu del Señor. Al comienzo del
Concilio se trataba de elegir entre estas alternativas: o empezar un Concilio
ya decidido, con esquemas y personas previamente elegidas, o ponerse a escuchar
lo que de hecho el Espíritu estaba haciendo. Por eso hubo la necesidad de
hablarse, conocerse, confrontarse. Es un poco la misma cosa que en estos días
ha sucedido en Roma, con obviamente las debidas distinciones: los cardenales
antes de entrar en el Cónclave tomaron un poco de tiempo para dialogar y
escucharse.”
Al
final de su lección al Clero romano, Benedicto XVI hace hincapié sobre la
distancia entre el Concilio de los Padres y aquello de los medios. Una distancia
lamentablemente evidente aún ahora ...
“Paradójicamente
aún más que hoy. De hecho el influjo de
los medios sobre la conciencia de la gente es claramente más grande ahora que
hace cincuenta años. Es grande el riesgo que también entre los mismos creyentes
se realice una idea de Iglesia y de relación entre obispos y cardenales que no
sea según lógicas de fe sino políticas. De hecho el Papa al final de este discurso
hizo entender la influencia que esa posición tuvo en el post-Concilio, donde
las temáticas se han desarrollado según una lógica del mundo y no aquella de
fe. Por ejemplo, Benedicto XVI habla de la liturgía: el interés que la liturgía
no fuese una ceremonia reservada solamente para los sacerdotes se convirtió en
una visión horizontalista y casi activista, es decir casi una expresión más de
nuestro sentimiento que del efectivo Misterio que allí se cumple. O la idea de
la “colegialidad” de los Obispos: era un concepto teológico, es decir el hecho
que la Iglesia está encomendada al sucesor de Pedro y también a todos los
Obispos. He aquí, ésto ha sido releído según los cánones del democratismo y del
“parlamentarismo”.”
Quedando
en el tema de la “colegialidad”, interesante es lo que decía el Papa sobre la
Iglesia, que justo en aquel Concilio se descubrió en su naturaleza de «Cuerpo
Místico de Cristo»: «no es una organización, algo estructural, jurídico,
institucional —también es esto—, sino que es un organismo, una realidad vital,
que entra en mi alma, de manera que yo mismo, precisamente con mi alma
creyente, soy elemento constructivo de la Iglesia como tal». Y de aquí llega
pues a afirmar la importancia de la “colegialidad”. Ayúdenos a comprender el
valor de esta palabra, entonces como ahora.
““Colegialidad” quiere decir respetar la estructura
que Cristo quiso dar a su Iglesia ya desde el principio, es decir quiso llamar
a 12 apóstoles: no uno solamente, ni tantos indiscriminadamente, sino algunos
hombres que fuesen el signo vivo e importante de su Presencia. Por tanto la
Iglesia descubriendo la “colegialidad” ha descubierto una categoría que en el
Concilio tal vez no fue muy desarrollada, pero es muy importante: la Iglesia
como comunión. Esto vale como estructura jerárquica de la Iglesia, y para cada
fiel también: es una comunión donde también cada bautizado con su fe y su sí
edifica este cuerpo.”
Pero,
el Papa, cerrando su discurso, sorprendió a todos: «Me parece que, 50 años
después del Concilio, vemos cómo este Concilio virtual se rompe, se pierde, y
aparece el verdadero Concilio con toda su fuerza espiritual». ¿En base a que
puede proclamar su victoria?
“En estos últimos treinta años hemos sido testigos
de algunas devastaciones o calamidades (como les llama Ratziger) que este
post-Concilio virtual ha generado, es verdad. Pero hemos visto también una
mayor reactivación de la conciencia por parte del laicado: el papado de Juan
Pablo II y aquello de Benedicto XVI fueron generadores de una reactivación de
conciencia y de vida del pueblo cristiano, a nivel de parroquias, asociaciones,
movimientos ... Aquí se vive un camino de fe que tal vez hoy, respecto a hace
50 años, es más limitado como número, pero más profundo y más sentido respecto
a un catolicismo de tradición: era dominante a nivel exterior en el segundo
posguerra, pero ya entonces escondía unas grietas. Bajo los últimos dos
pontificados salieron con toda su belleza algunas señales inequívocas de vida.”
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VIVA
IL CONCILIO CATTOLICAMENTE INTERPRETATO
Antonio Socci | 02.06.2015
Il sito ufficiale della Fraternità San Pio X (cioè i
lefebvriani) mi attacca. Con tutto quello che sta succedendo nella Chiesa
attaccano me. Mi pare interessante (la dice lunga sulle loro priorità).
Non mi sorprende, anche perché da quell’ambiente
vennero già i primi fulmini sul mio libro “Non è Francesco”.
Ho sempre ritenuto i lefebvriani l’altra faccia della
medaglia dei cattoprogressisti: entrambi interpretano il Concilio Vaticano II
come una rottura del cammino della Chiesa.
Entrambi, lefebvriani e cattoprogressisti, hanno in
Ratzinger e Wojtyla i loro avversari perché questi due grandi papi e uomini di
Dio hanno indicato la vera interpretazione del Concilio, come una riforma nella
continuità.
Io sono un convintissimo sostenitore dell’ermeneutica
dei due grandi papi, che poi è l’ermeneutica della Chiesa Cattolica. Ritengo
cioè che il Concilio Vaticano II sia uno dei tanti Concili della Chiesa, DA
LEGGERE DUNQUE DENTRO TUTTA LA SUA TRADIZIONE.
Cosicché anche eventuali punti critici (e pure io ne
ho rilevati diversi) o espressioni che si prestano a interpretazioni sbagliate
(perché si scelse di scrivere quei testi in uno stile letterario molto bello,
ma che è suscettibile di forzature), trovano nel Magistero di sempre della
Chiesa la loro giusta lettura e correzione.
I pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI
hanno provvidenzialmente corretto le interpretazioni “moderniste” che avevano
portato – fra l’altro – anche ai noti e tristissimi abusi liturgici.
In questo senso viva il Concilio che ci è stato fatto
conoscere e apprezzare da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI.
I lefebvriani attaccarono il mio libro “Non è
Francesco” proprio perché iniziava col capitolo “Viva il Concilio”. E anche
oggi mi attaccano per un articolo dove affermo che la tragedia della Chiesa non
è stata il Concilio, ma il postConcilio.
A questi signori rispondo con una sola, semplice
domanda:
SE
LA TRAGEDIA DELLA CHIESA E’ RAPPRESENTATA DAL CONCILIO E DAI DOCUMENTI DEL
CONCILIO, COME DICONO LORO, PERCHE’ MONS. LEFEBVRE FIRMO’ TUTTI I DOCUMENTI DEL
CONCILIO STESSO?
Si attendono risposte. In genere le risposte, molto
imbarazzate, sono di questo tipo: sì, li ha firmati, ma aveva già visto che
c’erano dei grossi problemi, che sono poi venuti in piena luce solo qualche
tempo dopo. Ma allora non vedete che ho ragione io, cioè che il problema è
rappresentato dal postconcilio?
E’ esattamente quello che ci hanno insegnato Joseph
Ratzinger e Karol Wojtyla, ovvero che stavano imperversando interpretazioni
sbagliate del Concilio, che andavano contro il Magistero di sempre della Chiesa
e che si dovevano interpretare e applicare i documenti del Concilio stesso
secondo il magistero cattolico.
La strada è quella tracciata da Giovanni Paolo II e
Benedetto XVI, non certo da quei lefebvriani che sono più lefebvriani di
Lefebvre stesso.
Peraltro quegli ambienti oggi sembrano curiosamente
“indulgenti” nei confronti di papa Bergoglio che, diversamente dai
predecessori, sta ridando fiato e spazio al cattoprogressismo che voleva usare
il Concilio per rompere con la tradizione cattolica e il magistero millenario
della Chiesa.
A leggere le cose che scrivono certi lefebvriani
sembra che sia Benedetto XVI il loro vero avversario. Perché? Sarebbe
interessante capirlo. Con Benedetto XVI la ricucitura con tutta la tradizione
era compiuta e la Fraternità San Pio X aveva un’occasione storica per
riconciliarsi con tutta la Chiesa.
Oggi costoro dovrebbero fare una dura autocritica per
aver rifiutato quella porta aperta che a papa Benedetto era costata attacchi
furibondi… Di certo tante persone che sbagliando erano andati con i
lefebvriani, grazie a Benedetto XVI tornavano nel seno della Chiesa con tutto
il cuore. E’ questo che non perdonano a Ratzinger?
Bergoglio invece sta creando un enorme smarrimento fra
i cattolici. Forse qualche lefebvriano pensa così di poter avere intere
praterie da conquistare per ampliare l’orticello? Per questo sono così silenti
nell’attuale dramma della Chiesa?
Spero non diano prova di tanta miopia. Ma dire oggi –
come loro dicono – che “il problema non è Bergoglio”, ma il problema è il
Concilio di cui Bergoglio è solo la “conseguenza”, significa di fatto
legittimare (direi quasi esaltare involontariamente) quello che sta facendo
l’attuale “vescovo di Roma” come frutto perfetto del Concilio Vaticano II. Cosa
che non è affatto !!! Tutt’altro!
Con tali tesi i lefebvriani finiscono per
rappresentare oggettivamente un prezioso supporto di papa Bergoglio.
Complimenti!
Del resto non ci sarebbe nemmeno da stupirsi di un
accordo fra la S. Pio X e papa Bergoglio perché non credo che costui richiederebbe
loro l’adesione al Vaticano II (ritenendolo superato): non avrebbero divergenze
dottrinali come avevano con Benedetto XVI perché a papa Bergoglio della
dottrina importa assai poco.
Così, in odio al Vaticano II, i lefebvriani potrebbero
finire per legittimare silenziosamente il Concilio Vaticano III che Bergoglio
sta realizzando.
Dimmi con chi vai…..
Antonio Socci
+++
(español) Traducción de David
VIVA EL CONCILIO CATÓLICAMENTE INTERPRETADO
Antonio Socci | 02.06.2015
El sitio oficial de la
Fraternidad San Pío X (es decir los lefebvrianos) me ataca. Con todo lo que
está sucediendo en la Iglesia, me atacan. Me parece interesante (eso lo dice
todo sobre sus prioridades).
No me sorprende, también porque
desde aquel ambiente salieron ya los primeros rayos sobre mi libro “Non è
Francesco” (“No es Francisco”).
Siempre he afirmado que los
lefebvrianos son la otra cara de medalla de los cato-progresistas: ambos
interpretan el Concilio Vaticano II como una ruptura del camino de la Iglesia.
Ambos, lefebvrianos y
cato-progresistas, tienen como sus adversarios a Ratzinger y Wojtyla, porque
estos dos grandes papas y hombres de Dios nos indicaron la verdadera
interpretación del Concilio, como una reforma en la continuidad.
Yo soy un muy convencido
sostenedor de la hermenéutica de esos dos grandes papas, que además es la
hermenéutica de la Iglesia Católica. Es decir, digo que el Concilio Vaticano II
es uno de los tantos Concilios de la Iglesia, DE LEER POR TANTO DENTRO DE SU TRADICIÓN.
Así que también eventuales puntos
críticos (y también yo he encontrado varios) o expresiones que se prestan a
interpretacions erradas (porque se eligió escribir esos textos con un estilo
literario muy bello, pero que es susceptible de interpretaciones forzadas),
encuentran en el Magisterio de siempre de la Iglesia su justa lectura y
corrección.
Los Pontificados de Juan Pablo II
y Benedicto XVI providencialmente corrigieron las interpretaciones
“modernistas” que habían llevado – entre otras cosas – también a los conocidos
y tristísimos abusos litúrgicos.
En este sentido viva el Concilio
que nos ha sido hecho conocer y apreciar por Juan Pablo II y por Benedicto XVI.
Los lefebvrianos atacaron mi
libro “Non è Francesco” precisamente porque empezaba con el capítulo “Viva el
Concilio”. Y también hoy me atacan por un artículo donde afirmo que la tragedia
de la Iglesia no fue el Concilio, sino el post-Concilio.
A esos señores les contesto con
una sola, simple pregunta:
SI LA TRAGEDIA DE LA IGLESIA ES REPRESENTADA POR EL CONCILIO Y POR LOS
DOCUMENTOS DEL CONCILIO, COMO ELLOS DICEN, ¿POR QUÉ MONS. LEFEBVRE FIRMÓ TODOS
LOS DOCUMENTOS DE ESE MISMO CONCILIO?
Se esperan respuestas. En general
las respuestas, muy incómodas, son de este tipo: sí, los firmó, pero ya había
visto que hubo grandes problemas, que sucesivamente salieron a la luz solo
después de algún tiempo. Pero, entonces, ¿no veis que yo tengo razón, es decir
que el problema es representado por el post-Concilio?
Es exactamente lo que nos
enseñaron Joseph Ratzinger y Karol Wojtila, o sea que estaban arreciando
interpretaciones erradas del Concilio, que iban en contra del Magisterio de
siempre de la Iglesia, y que se debían interpretar y aplicar los documentos del
mismo Concilio según el Magisterio Católico.
El camino es aquéllo enseñado por
Juan Pablo II y Benedicto XVI, y por cierto no aquéllo de esos lefebvrianos que
son más lefebvrianos que Lefebvre mismo.
Además, esos ambientes hoy
parecen curiosamente “indulgentes” hacia el papa Bergoglio que, diferentemente
de sus predecesores, está dando nuevamente aliento y espacio al
cato-progresismo el cual quería usar el Concilio para romper con la Tradición
Católica y el Magisterio milenario de la Iglesia.
Leyendo lo que escriben ciertos
lefebvrianos parece que sea Benedicto XVI su primer y verdadero adversario.
¿Por qué? Sería interesante entenderlo. Con Benedicto XVI la reconciliación con toda la Tradición se
había cumplido y la Fraternidad San Pío X tenía una ocasión histórica para
reconciliarse con toda la Iglesia.
Hoy en día, ellos
deberían hacer una dura autocrítica por haber rechazado aquella puerta abierta
y que al Papa Benedicto le había costado ataques furibundos... Por cierto,
tantas personas que errando se habían ido con los lefebvrianos, gracias a
Benedicto XVI se volvieron al seno de la Iglesia con todo su corazón. ¿Es ésto
lo que no le perdonan a Ratzinger?
Bergoglio, en cambio,
está creando un enorme desconcierto entre los católicos. ¿Quizás algún
lefebvriano piensa de esta manera de tener enteras praderas de conquistar para
ampliar su huerto? ¿Por ésto están tan silentes en el actual drama de la
Iglesia?
Espero no den prueba
de tan miopía. Pero, decir hoy – como ellos dicen – que “el problema no es
Bergoglio”, sino el Concilio, del cual Bergoglio es solamente la
“consecuencia”, signífica de hecho legitimar (diría casi exaltar
involuntariamente) lo que está haciendo el acutal “obispo de Roma”, como fruto
perfecto del Concilio Vaticano II. ¡¡¡Lo que no es para nada!!! ¡Todo lo
contrario!
Con tales tesis los
lefebvrianos llegan a representar objetivamente un precioso apoyo para el papa
Bergoglio. ¡Felicidades!
Además, tampoco hay
que sorprenderse de un acuerdo entre la San Pío X y el papa Bergoglio, porque
no creo que éste pediría a ellos la adhesión al Vaticano II (considerándolo
superado): no estarían divergencias doctrinales como las que estaban con
Benedicto XVI porque al papa Bergoglio le importa muy poco de la Doctrina.
Así, con odio al
Vaticano II, los lefebvrianos podrían llegar a legitimar silenciosamente el
Concilio Vaticano III que Bergoglio está realizando.
Dime con quien andas
....
Antonio Socci
Interesante e intensa esta entrada sobre el Concilio Vaticano II que tanto bien hizo a la Iglesia.Besicos
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