È arrivato il nostro appuntamento per commentare il libro che abbiamo letto insieme. È un momento speciale perché siamo arrivate alla fine del nostro primo libro condiviso in questo GdL. Ancora ho fatto un commento troppo lungo e siccome il sistema non l'accetta, devo fare un nuovo post.
Le storie del libro che abbiamo letto sono tutte metafore, vale a dire che ci rinviano a un senso ed a significati di concetti che ha voluto comunicare l’autore. Le storie non sono la sostanza del libro, l’essenza di questo testo è ciò che dobbiamo saper scoprire dietro alle vicende che narra Serdar Ozkan, che ha l’intenzione di farci riflettere.
In questo commento parto con queste frasi: “si scopre sempre più infelice” (p. 214), “volevo che tu uccidessi il tuo `ego´ che ti causa infelicità e ti impedisce di perseguire i tuoi sogni” (p.209), “Se la tua maschera di grandezza ti rende felice, non togliertela, continua a portarla”. Questo secondo me è il punto di partenza per le riflessioni a cui vuole indurci l’autore, sei felice? Sei contento di te?...
Nel testo Ozkan cerca di darci piste per aiutarci ad essere felici, nella terza parte del libro queste piste sono: “… qualcosa di unico in me…” (p. 163), scopri cos’è unico in te, che ti fa essere chi sei. “È la sua fragranza, innanzitutto, che fa di una rosa una rosa.” (p. 187)
Chi sei? “Quando ti ho chiesto di parlarci di te, hai menzionato tuo padre, lo splendore del tuo tempio e la moltitudine dei tuoi fedeli. Ma io non ti ho chiesto niente del genere. Ti ho chiesto soltanto chi fossi.” Quante volte ci definiamo in funzione alla nostra famiglia, alla considerazione che hanno per noi gli altri, ma bisogna svelare chi siamo in realtà noi stesse, senza riferimento agli altri. Noi nel nostro interno più profondo, questo è un tema che si è presentato ripetutamente dalla prima parte del libro: “Non lasciarti ingannare dalla loro appassionata devozione. Sono stati loro a inventarti, loro a definire i tuoi attributi, loro a esaltare il tuo nome. Mi dispiace, ma non hai alcuna esistenza autonoma. Tu esisti soltanto grazie a loro. Tu esisti grazie alle loro lodi. Alla loro adorazione, ai loro applausi. Tu dipendi dagli Altri.” (p. 174) “E se viviamo una vita che gli Altri hanno scelto per noi invece di quella che sceglieremmo per noi stessi? …” p. 184
Un'altra chiave è imparare l’umiltà, correggerci della presuntuosità e dell’orgoglio: “Il tuo vano orgoglio non faceva altro che accrescere la tua solitudine e ti impediva persino di piangere.” (p. 175) In questi giorni è la seconda volta che trovo questa riflessione, l’orgoglio ci fa rimanere da soli, e la solitudine è un male della nostra epoca, ho trovato anche questo quando leggevo per fare il post del mio blog su Santa Teresa del bambino Gesù.
L’umiltà ci aiuta ad essere noi stesse: “Sono insignificante… Sono una rosa sia che mi ammirino o no, sia che qualcuno vada pazzo per me o no… Sono solo una rosa….” “ Eppure alcuni mi hanno notato…” “…Significa `libertà´. Significa non esistere grazie alle lodi degli Altri o non smettere di esistere a causa della loro disapprovazione.” Ma bisogna anche amare la gente, per brindare ciò che siamo noi” “… per poter offrire loro il mio profumo.” (p. 174 e 175)
Se vuoi portare la tua maschera di grandezza perché ti rende felice devi sapere “che c’è un prezzo da pagare. E il prezzo è l’oblio della vera te stessa…” Se opponiamo resistenza ad essere veramente noi “non solo non troveremo mai pace, ma turberemo anche la tranquillità delle altre rose. E anche quella della gente…” “Ma non abbiamo nessun diritto di rendere infelici gli altri o noi stesse.”
Un altro insegnamento è non giudicare gli altri: “Mia cara, né io né altri abbiamo il diritto di giudicare come vivi la tua vita.” (p. 185).
Avere coraggio, è un'altra chiave: “Solo coloro che hanno il coraggio di rinunciare al buono possono raggiungere il meglio. Tu hai questo coraggio.” ? (p. 188 e 189)
Una pista in più, cerca dentro: “non dovrebbe cercare fuori la chiave del suo tesoro, ma dentro…” (p. 204)
Quando trovi la felicità “ti rende umile e ti dà la sensazione di abbracciare il mondo intero…” (p. 209), “La voce della felicità. Parla di sogni. Parla di angeli e parla di incontri con Dio in questo mondo.” (p. 213) “Ogni momento della vita è un miracolo. Ricordati sempre che tutto ci parla, non solo le rose.” (p. 190) “Siamo dovunque sia il nostro cuore. Se il tuo cuore è qui, non importa quanto tu sia lontano fisicamente…” (p. 189) “I sogni sono il lievito della realtà” (p. 223) Con queste parole l’autore cerca di farci capire cosa sia la felicità.
Care amiche ora che siamo arrivate alla fine del nostro primo libro, io sono in grado di affermare che mi è piaciuto tantissimo… e che sono felice che sia stato il primo libro che abbiamo condiviso…
Prima di finire questo lungo commento mi fermo nell’Epilogo del libro: “Efeso! Città della dualità. Sede del tempio di Artemide e della Santa casa di Maria, madre di Dio.” (p. 225) Queste sono due importanti opere monumentali che hanno avuto esistenza reale nella città di Efeso, passo a farvi una breve illustrazione di esse.
Il Tempio di Artemide era un tempio dedicato alla dea Artemide, situato nella città di Efeso, nell'attuale Turchia. Prima degli scavi archeologici condotti nel 1987 ad opera dell'Università di Vienna si riteneva che la struttura, nel suo complesso, dovesse risalire al 560 a .C., cioè all'epoca di reggenza della dinastia achemenide dell'impero persiano. Al giorno d'oggi nulla rimane, se non qualche minimo resto, del grande tempio; che per le sue immense dimensioni e la bellissima architettura, fu considerata una delle sette meraviglie del mondo antico. La forma dell'edificio più nota è da attribuire all'iniziativa del re Creso di Lidia, e fu menzionata per la prima volta da Antipatro di Sidone che stilando la lista delle sette meraviglie del mondo antico ne decantava la bellezza e, paragonandolo agli altri monumenti, sosteneva che essi non ne reggessero il confronto.
Sulla base delle visioni di Anna Katharina Emmerick è stata ritrovata a Efeso la casa dove la Vergine Maria visse dopo la morte di Gesù. Era una casa rettangolare di pietra, a un piano solo, col tetto piatto e il focolare al centro, tra boschi al margine della città perché la Vergine desiderava vivere appartata. Il ricercatore francese Julien Dubiet, dando credito a queste visioni, andò in Asia Minore alla ricerca della casa descritta da Caterina. Dubiet effettivamente trovò i resti dell’edificio, nonostante le trasformazioni subite nel tempo, a nove chilometri a sud di Efeso, su un fianco dell'antico monte Solmisso di fronte al mare, esattamente come aveva indicato la Emmerich. La validità delle affermazioni di Caterina venne confermata anche dalle ricerche archeologiche condotte nel 1898 da alcuni ricercatori austriaci. Gli archeologi ebbero modo di appurare che l’edificio - almeno nelle sue fondamenta - risaliva al I secolo d.C..
Nell'estate del 2006, un enorme incendio ha distrutto 1200 ettari di bosco, ma le fiamme si sono fermate ad un metro dal santuario. Il racconto è di un frate testimone di quello che la gente già definisce un "miracolo". La gente grida al miracolo, i religiosi ammettono la "straordinarietà" dell'evento. L’incendio si fermò ad un metro dalla Casa di Maria, vicino Selcuk, santuario a cui si recano pellegrini da tutto il mondo, cristiani e musulmani.
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